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Massimario



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SANITA'

Attività medico-chirurgica – Fondamento – Rilevanza del consenso del paziente – Formalizzazione del consenso - Consenso implicito – Ammissibilità – Fattispecie. (Costituzione, articolo 32; C.p., articolo 50, 586 e 613)
Il paziente non può essere sottoposto ad alcun trattamento sanitario contro la sua volontà, in ossequio al disposto dall’articolo 32, secondo comma, della Costituzione, salvo che esistano condizioni di assoluta urgenza e di stato di incoscienza che potrebbero legittimare un intervento senza il consenso. Ciò, però, non significa che il consenso a un intervento (nella specie, a un’operazione e, quindi all’anestesia) debba essere necessariamente espresso per iscritto, ben potendolo desumere, per implicito, dal comportamento del paziente. (Nella specie, oggetto del ricorso del procuratore generale e delle parti civili, era la decisione che aveva mandato assolto dall’impugnazione relativa ai reati di cui agli articoli 613 e 586 del C.p. un medico anestesista, che aveva partecipato a un intervento chirurgico nel corso del quale una paziente era deceduta per arresto cardiaco; la Corte, partendo dalla premessa di cui in massima, ha ritenuto corretta e congruamente motivata la pronuncia liberatoria, laddove, pur in difetto di consenso scritto, si era apprezzato che la paziente si era rifiutata di apporre la firma sul modulo del consenso all’intervento solo per paura, e non per una scelta cosciente e ponderata di rifiuto delle cure, onde il consenso all’intervento poteva essere desunto implicitamente dal comportamento complessivo della paziente – che aveva tenuto un atteggiamento collaborativo al momento dell’ingresso in camera operatoria – e dall’interpretazione dello stesso fatta dai più stretti congiunti, risultando che il modulo di consenso all’operazione e all’anestesia era stato formalmente firmato dal marito, ivi presente).
Sezione V, sentenza 17 settembre – 11 dicembre 2008 n. 45801 – Pres. Ambrosini; Re . Federico; Pm (diff.) Monetti; Ric. Parte civile Fidone e altri in proc. Caccamo.

PROVE PENALI

Elementi utilizzabili – Prelievo del Dna – Metodo non coattivo – Ammissibilità. (C.p.p., articolo 187 e seguenti).
L’acquisizione del materiale biologico fini delle indagini, e in particolare per l’accertamento del Dna, che non comporti modalità coattive deve ritenersi pienamente legittima, anche se avvenuta all’insaputa dell’indagato, in quanto ciò non determina alcuna incidenza sulla sua sfera di libertà. Tale principio va ribadito, a maggior ragione, quando il prelievo (nella specie, di saliva) non sia avvenuto all’insaputa dell’indagato, ma con il suo consenso, restando in proposito processualmente del tutto privo di rilievo che all’indagato non sia stata comunicata dagli inquirenti la specifica finalità del prelievo.
Sezione I, sentenza 23 ottobre - 18 novembre 2008 n. 43002 – Pres. Fazzioli; Rel. Giordano; Pm (conf.) Montagna; Ric. Tripodi.

REATO IN GENERE

Delitto tentato – Desistenza volontaria – Reato concorsuale – Presupposti – Presupposti – Fattispecie. (C.p., articolo 56, comma 3)
Nell’ipotesi di reato concorsuale, stante la struttura unitaria del reato realizzato in concorso, la semplice desistenza da parte di uno dei concorrenti non è sufficiente a scriminarne la responsabilità: in tal caso, infatti, il semplice abbandono o l’interruzione dell’azione criminosa non basta perché si abbia desistenza rilevante ai sensi del comma 3 dell’articolo 56 del C.p., occorrendo un quid pluris, il quale comporta che la desistenza del singolo compartecipe o impedisca comunque l’evento, nel senso che l’interessato deve attivarsi ai fini di evitare la realizzazione concorsuale o comunque il verificarsi dell’evento che ne deriva. (Da questa premessa, in una fattispecie in cui l’imputato era stato condannato in ordine al reato di concorso nell’importazione e detenzione di droga, la Corte ha escluso potesse configurarsi la desistenza per il solo fatto che questi risultava essersi allontanato dal luogo dell’appuntamento previamente fissato per la consegna della sostanza).
Sezione IV, sentenza 21-31 ottobre 2008 n. 40818 – Pres. Marzano; Rel. Piccialli; Pm (conf.) Ciampoli; Ric. Suarez Herrera

 

Reato continuato – Condizioni – Identità del medesimo disegno criminoso – Fase esecutiva – Dimostrazione – Indici rivelatori – Fattispecie. (C.p., articolo 81, comma 2; C.p.p., articolo 671)
In tema di applicazione della disciplina del reato continuato in fase esecutiva, l’unicità del disegno criminoso, che costituisce l’indispensabile condizione per la configurabilità della continuazione, non può identificarsi con la generale inclinazione a commettere reati sotto la spinta di fatti e di circostanze occasionali, più o meno collegati tra loro, ovvero di bisogni e di necessità di ordine contingente, e neanche con la tendenza a porre in essere reati della stessa specie o indole, dovendo invece, le singole violazioni costituire parte integrante di un unico programma, deliberato sin dall’indizio nelle linee essenziali, per conseguire un determinato fine, a cui, di volta in volta, si aggiungerà l’elemento volitivo necessario per l’attuazione del programma stesso. In una tale prospettiva, il condannato, pur non essendo gravato dall’onore della prova, è tuttavia soggetto a un «onore di allegazione» degli elementi di fatto e delle ragioni sulle cui basi possa poggiare la tesi della riconducibilità dei vari reati a un’identica deliberazione preventiva. Tra tali elementi rivelatori dell’identità del disegno criminoso non possono non essere apprezzati la distanza cronologica tra i fatti, le modalità della condotta , la sistematicità e le abitudini programmate di una vita, la tipologia dei reati, il bene protetto, l’omogeneità delle violazioni, la causale, le condizioni di tempo e di luogo ed è proprio attraverso questi indici o alcuni soltanto di questi indici – purché siano preganti e idonei a essere privilegiati in direzione del riconoscimento o del diniego del vicolo della continuazione – che il giudice deve apprezzare la sussistenza o no della deliberazione unitaria di fondo idonea a “cementare” le singole violazioni. (Nella specie, la Corte ha annullato con rinvio la decisione del giudice dell’esecuzione che aveva rigettato la richiesta di riconoscimento della continuazione limitandosi a considerare la non contiguità temporale delle condotte criminose).
Sezione I, sentenza 21 ottobre-18 novembre 2008 n. 43043 – Pres. Fazzioli; Rel. Silvestri; Pm (diff.) Ciampoli; Ric. Crocco

SPORT

Attività sportiva – Violazione delle regole del gioco – Lesività della condotta – Lesioni personali – Rilevanza penale – Fattispecie in tema di gioco del calcio. (C.p., articolo 590 e 583)
Configura un illecito penale la condotta del calciatore che, nel corso di una partita a livello amichevole, tra compagni di scuola, provoca lesioni gravi a un avversario, commettendo ai suoi danni un fallo di gioco pericoloso (nella specie, uno sgambetto), in quanto un tale comportamento è estraneo alle caratteristiche della partita amichevole o amatoriale nella quale il rischio di subire lesioni gravi non solo non è preventivato, ma anche non può essere accettato.
Sezione V, sentenza 4 Luglio – 27 novembre 2008 n. 44306 –Pres. Pizzuti; Rel. Carrozza, Ric. Maccherani.

MISURE CAUTELARI

Misure cautelari personali – Impugnazione – Ricorso per cassazione – Vizi deducibili – Difetto di motivazione sui gravi indizi di colpevolezza e sulle esigenze cautelari – Sindacato di legittimità – Contenuto – Limiti. (C.p.p, articoli 273,274,311 e 606)
In caso di ricorso per cassazione avverso un provvedimento di riesame in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato vizio di motivazione, le doglianze attinenti alla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza o delle esigenze cautelari possono assumere rilievo solo se rientrano nella previsione di cui all’ articolo 606, comma 1, lettera e), del C.p.p, se cioè integrano il vizio di mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Esula, quindi, dalle funzioni della Cassazione la valutazione della sussistenza o meno dei gravi indizi e delle esigenze cautelari, essendo questo compito primario ed esclusivo dei giudici di merito e, in particolare, prima, del giudice al quale è richiesta l’applicazione della misura e, poi, eventualmente, del giudice del riesame.
Sezione II, sentenza 17 settembre – 22 ottobre 2008 n. 39504 – Pres. Carmenini; Rel. Monastero; Pm (conf.);Ric. Fabbretti e altri.

LAVORO

Infortuni sul lavoro – Normativa antinfortunistica – Datore di lavoro – Obbligo di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro – Contenuto – Comportamento negligente del lavoratore – Rilevanza – Limiti. (D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, articolo 4 e seguenti; D.Lgs. 19 settembre 1994 n. 626, articolo 4; D.Lgs. 9 aprile 2008 n.81, articolo 18; CC, articolo 2087; C.p., articolo 41)
La condotta del lavoratore, per giungere a interrompere il nesso causale (tra condotta colposa, del datore di lavoro o chi per esso, ed evento lesivo) e a escludere, quindi, la responsabilità del garante, deve configurarsi come un fatto assolutamente eccezionale, del tutto al di fuori della normale prevedibilità: ipotesi che può verificarsi allorquando il comportamento del lavoratore sia definibile come «abnorme», «del tutto anomalo», «esorbitante dalle normali operazioni di lavoro», ovvero «incompatibile con il sistema di lavorazione» cui il medesimo sia addetto. Ciò, in quanto le norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il lavoratore anche contro gli incidenti, intrinsecamente connaturali all’esercizio dell’attività svolta, derivanti da un suo comportamento colposo.
Sezione IV, sentenza 1° ottobre – 23 ottobre 2008 n. 39883 – Pres. Galbiati; Rel. Bricchetti; Pm (conf.) Delehaye; Ric. Bergaglio.


Infortuni sul lavoro – Normativa antinfortunistica – Destinatari – Individuazione – Nomina del capo cantiere – Obblighi a carico del datore di lavoro – Persistenza – Ragione. (D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, articolo 4; D.P.R. 9 aprile 2008 n. 81, articoli 16,18 e 19)
In tema di infortuni sul lavoro, l’esistenza sul cantiere di un preposto (nella specie, del capo cantiere), salvo che non vi sia la prova rigorosa di una «delega» espressamente e formalmente conferitagli, con pienezza di poteri e autonomia decisionale, e di una sua particolare competenza (ora articolo 16 del D.P.R. 9 aprile 2008 n. 81, ndr), non comporta il trasferimento in capo allo stesso degli obblighi e delle responsabilità incombenti sul datore di lavoro, essendo a suo carico (peraltro, neppure in maniera esclusiva quando l’impresa sia di dimensioni molto modeste) soltanto il dovere di vigilare sul fatto che i lavoratori osservino le misure prevenzionali ed usino i dispositivi di sicurezza e gli altri mezzi di protezione, comportandosi in modo da non creare pericolo per sé e per gli altri.
Sezione IV, sentenza 9 luglio – 3 ottobre 2008 n. 37997 – Pres. Campanata; Rel. Visconti;Pm (conf.) Gialanella; Ric. Crea e altro

REATI CONTRO LE PERSONE

Diffamazione – Diritto di critica – Diritto di critica politica – Ambito di operatività – Fattispecie. (C.p., articoli 51 e 595)
In tema di diffamazione, il diritto di critica assume connotazione di maggiore opinabilità quando si svolga in ambito politico, poiché in esso risulta preminente l’interesse generale al libero svolgimento della vita democratica, onde non si richiede che l’esternazione si attenga a una fedele riproposizione di accadimenti reali, essendo lecita l’elaborazione di essi – per l’appunto in forma critica – in vista di un giudizio non necessariamente imparziale, siccome espressione del retroterra culturale e politico di chi lo formula. Ciò che si rende in ogni caso necessario è che la critica politica non sconfini nell’attacco personale o nella contumelia. (fattispecie in cui, conseguentemente, la Corte ha annullato senza rinvio, per essere stato il fatto commesso in presenza di una causa di giustificazione, la condanna per il reato di diffamazione pronunciata a carico dell’imputato, appartenente a una sezione territoriale di un partito politico, che aveva diffuso un volantino nel quale alcuni avversari politici erano stati accusati di alimentare l’odio e l’intolleranza razziale; la Corte ha evidenziato, con gli argomenti di cui sopra, che si trattava di una contesa politica, onde le espressioni utilizzate non avevano trasceso i limiti propri di una normale contrapposizione ideologica).
Sezione V, sentenza 1° luglio – 24 ottobre 2008 n. 39938 – Pres. Rotella; Rel. Oldi; Pm (diff.) Stabile; Ric. Colonna

PROVE PENALI

Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni - Valutazione della prova – Contenuto delle intercettazioni – Competenza del giudice di merito – Apprezzamento – Fattispecie. (C.p.p, articoli 187 e seguenti e 266)
In tema di intercettazioni telefoniche, l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce una questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza. (Nella specie, la Corte ha annullato la decisione de libertate, che aveva basato il quadro indiziario sul contenuto di una intercettazione dove si attribuiva all’utilizzo dell’espressione «quel coso» il significato «verosimilmente» di «pistola», ma di ciò senza fornire un supporto interpretativo logico, risultando tale lettura sostanzialmente apodittica).
Sezione II,sentenza 4-21 novembre 2008 n. 43749 – Pres. Carmenini; Rel. Polichetti; Pm (diff.) Mura; Ric. Schettino.

LAVORO

Infortuni sul lavoro – Normativa antinfortunistica – Datore di lavoro – Obbligo di garantire sicurezza nel luogo di lavoro – Utilizzo da parte di un lavoratore di un mezzo privo delle strumentario di sicurezza – Lavoratore adibito a compiti diversi – Pretesa interruzione del nesso casuale – Esclusione. (D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, articolo 4 e seguenti; cc, articolo 2087; D.P.R. 9 aprile 4 e seguenti; 18; C.p.; articolo 41)
Correttamente viene affermata la responsabilità del datore di lavoro, che abbia omesso di dotare un trattore utilizzato nell’azienda delle necessarie misure di sicurezza e di assicurarne la corretta manutenzione, per la morte di un lavoratore il quale, alla guida del mezzo, abbia subito un incidente mortale proprio in ragione delle rilevate condizioni del mezzo. Né, in senso contrario, potrebbe opporsi l’interruzione del nesso causale, in ragione del verificarsi di una causa eccezionale sopravvenuta, connessa all’imprevedibilità dell’uso del trattore da parte del lavoratore, per essere stato questi adibito a compiti diversi. Ciò perché, in ogni caso, la condotta del lavoratore, che abbia fatto uso del mezzo, sia pure nell’esercizio di compiti diversi da quelli demandatagli, non è per nulla estranea all’area di rischio connessa al contesto lavorativo e non integra un evento eccezionale idoneo a interrompere il nesso causale tra condotta colposa del datore di lavoro e l’evento letale determinato dall’uso de mezzo.
Sezione IV, sentenza 30 settembre – 12 novembre 2008 n. 42129 – Pres. Mongigni; Rel. Blaiotta; Pm (conf.) Geraci; Ric. Garo

REATI CONTRO LA FEDE PUBBLICA

Patrocinio a spese dello Stato – falsità nelle dichiarazioni sulle condizioni reddituali – Elemento materiale – Reddito realmente percepito tale da consentire comunque l’ammissione del beneficio – Irrilevanza – Reato -Sussistenza. (D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, articolo 76/79, comma 1, lettera c, e 95)
Ai fini della configurabilità del reato di cui all’articolo 95 del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, in ordine all’obbligo di comunicare il superamento eventuale dei limiti di reddito «entro trenta giorni dalla scadenza del termine di un anno» (articolo 79, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 115 del 2002) è da ritenere che detto termine, entro il quale appunto va assolto l’obbligo di comunicazione, è quello di trenta giorni dalla fine dell’anno fiscale (piuttosto che di quello solare), nel quale si sono verificate le variazioni di reddito rilevanti: infatti, l’espressione normativa – apparentemente e infelicemente connessa, sul piano sintattico, alla «data di presentazione dell’istanza o dell’eventuale precedente comunicazione di variazione», che costituiscono invece l’elemento di riferimento della “rilevanza” delle variazioni reddituali – va integrata, in base al criterio sistematico e teleologico, con gli indici ermeneutici estrapolabili dal precedente articolo 76, che, nel disciplinare le condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, fa espresso riferimento al «reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione». A conforto dovendosi aggiungere che è solo a chiusura dell’anno fiscale che l’ammontare del reddito diventa giuridicamente certo.
Sezione IV, sentenza 18 settembre – 31 ottobre 2008 n. 40804 – Pres. Manzano; Pel. Amendola; Pm (conf.) Bua; Ric Pecora

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