La ricettazione può essere sorretta anche da un dolo eventuale, configurandosi in termini di rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto.  


Ritenuto in fatto

1. *****, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza del 20 settembre 2006 con la quale la Corte di appello di Torino, riformando parzialmente la decisione di primo grado, gli ha riconosciuto le attenuanti degli artt. 62, n, 6, e 62 bis c.p. e ha rideterminato in tre mesi di reclusione e cento euro di multa la pena inflitta al ricorrente per i reati previsti dall'art. 648 c.p. e dall'art. 12 d.l. 3 maggio 1991, n. 143.
Risulta dalla sentenza impugnata che *****, a bordo dell'autovettura tg. BG882JV, aveva utilizzato per il pagamento del pedaggio autostradale al casello di Cigliano (VC) una tessera Viacard del valore nominale di lire 50.000, che era stata ritirata dall'operatore perché, dopo essere stata usata per l'ultima volta lecitamente il 14 aprile 1999, era stata rigenerata e poi utilizzata indebitamente il 7 giugno 2000 e successivamente altre sei volte. ***** si era giustificato affermando di avere acquistato la tessera da uno sconosciuto, che all'interno di un'area di servizio gliela aveva venduta dicendo di essere rimasto senza benzina e con poco denaro.
Per questo fatto, in seguito a un giudizio abbreviato, il ricorrente era stato ritenuto responsabile dei reati di ricettazione e di uso indebito della tessera Viacard.
La corte di appello aveva confermato la condanna ritenendo che le circostanze dell'acquisto dimostrassero quanto meno l'esistenza di un dolo eventuale, in presenza del quale doveva ravvisarsi il reato di ricettazione e non quello di incauto acquisto. Inoltre, dopo avere aggiunto che l'imputato non aveva dato una giustificazione del proprio acquisto, perché aveva riferito circostanze incontrollabili, la Corte aveva rilevato che secondo una giurisprudenza consolidata «la mancata giustificazione del possesso di una cosa proveniente da delitto costituisce prova della conoscenza della sua illecita provenienza».
Il ricorrente, denunciando erronea applicazione della legge e vizi di motivazione, ha innanzi tutto contestato che la responsabilità per il reato di ricettazione e per quello previsto dall'art. 12 d.l. n. 143 del 1991 possa essere affermata sulla base di un mero dolo eventuale, poi ha sostenuto che le circostanze in cui era avvenuto l'acquisto della tessera Viacard non erano tali da farne ritenere la probabile provenienza illecita. Secondo il ricorrente l'addebitargli l'impossibilità di controllare giudiziariamente la giustificazione offerta nascondeva «una presunzione di colpevolezza e una sostanziale inversione dell'onere della prova»; comunque la mancanza di giustificazione non avrebbe potuto, di per sé sola, essere considerata indicativa della conoscenza da parte sua della provenienza delittuosa della cosa. Infine, con riferimento al delitto dell'art. 12 d.l. n. 143 del 1991 il ricorrente ha dedotto che la tessera Viacard non rientra tra i documenti previsti da tale disposizione e che nel caso in questione mancava sia il fine di profitto sia l'uso indebito della carta.

2. La seconda sezione di questa Corte con ordinanza del 19 giugno 2009 ha rimesso il ricorso alle Sezioni unite, a norma dell'art. 618 c.p.p., avendo rilevato l'esistenza di un contrasto sulla configurabilità del reato di ricettazione quando l'agente non conosce la provenienza delittuosa della cosa ma se ne rappresenta la probabilità o la possibilità.
Come ha ricordato la sezione rimettente, secondo un primo orientamento nel delitto ex art. 648 c. p. è ravvisabile il dolo eventuale quando la situazione fattuale - nella valutazione operata dal giudice di merito in conformità alle regole della logica e dell'esperienza - sia tale da far ragionevolmente ritenere che non vi sia stata una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della res, ma una consapevole accettazione del rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza.
Secondo un altro orientamento invece il dolo eventuale non sarebbe compatibile con il reato di ricettazione perché la rappresentazione dell'eventualità che la cosa che si acquista o comunque si riceve provenga da delitto equivale al dubbio, mentre l'elemento psicologico della ricettazione esige la piena consapevolezza della provenienza delittuosa del bene, non essendo sufficiente che l'agente si sia rappresentata la possibilità di tale origine per circostanze idonee a suscitare perplessità; quest'ultima ipotesi, ricadrebbe, invece, nell'ambito dell'art. 712 c. p., che punisce a titolo di colpa l'acquisto o la ricezione di cose che, per le obiettive condizioni stabilite nello stesso disposto di legge, denuncino, di per sé, il sospetto di un'origine di natura delittuosa, ovvero anche solo contravvenzionale, ed impongano all'acquirente, indipendentemente anche dall'effettiva sussistenza di un reato presupposto, l'obbligo di ragionevoli accertamenti sulla liceità o meno della provenienza.
A questo indirizzo, osserva ancora l'ordinanza di rimessione, possono essere ascritte anche le decisioni che ritengono necessaria la certezza della provenienza illecita della res aggiungendo però che tale certezza si può desumere anche dalla qualità delle cose e dagli altri elementi sintomatici considerati dall'art. 712 c. p., purché i sospetti siano così gravi e univoci da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale e secondo la comune esperienza la convinzione che non possa trattarsi di cose legittimamente detenute da chi le offre.
Peraltro, osserva ancora l'ordinanza di rimessione, in varie decisioni della Suprema Corte l'adesione a uno degli orientamenti indicati deriva da scelte non argomentate, che prescindono dal dibattito, anche dottrinale, sulle caratteristiche del dolo eventuale: con riguardo alla ricettazione, in particolare, non si tiene conto delle problematiche connesse ai limiti di/ applicabilità della categoria del dolo eventuale, elaborata principalmente nella materia dei reati di evento, ai reati non causalmente orientati e connotati dal riferimento strutturale ad un reato presupposto, ossia a un fatto già accaduto. Inoltre, non vengono approfonditi i rapporti tra le fattispecie criminose di cui agli artt. 648 e 712 c. p. né si chiarisce se e per quali aspetti il dubbio sul reato presupposto, che dovrebbe bastare per ritenere sussistente l'elemento soggettivo della ricettazione, si distingua dal "sospetto" che integra il reato di acquisto di cose di sospetta provenienza, essendo difficile affermare che solo in un caso e non nell'altro l'autore del reato abbia accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, adottando una formula (quella dell'accettazione del rischio) elaborata con specifico riferimento ai reati di evento, mentre la provenienza illecita nel delitto di ricettazione costituisce un presupposto del fatto, che può essere oggetto di vari gradi di rappresentazione, ma che non è prevedibile né evitabile.

Considerato in diritto

1. La questione rimessa alle Sezioni unite riguarda, come si è visto, la compatibilità del dolo eventuale con il delitto di ricettazione, e la sezione rimettente, dopo aver ricordato gli argomenti addotti a sostegno dei due orientamenti giurisprudenziali contrastanti, ha indicato un'ulteriore ragione, di carattere preliminare, che a suo avviso potrebbe imporre una soluzione negativa, perché ha osservato che la provenienza illecita nella ricettazione costituisce un presupposto del fatto, rispetto al quale può dubitarsi che assuma rilevanza l'atteggiamento psicologico nel quale si fa consistere il dolo eventuale.
Si tratta però di un dubbio agevolmente superabile perché il dolo eventuale è una figura di costruzione giurisprudenziale e dottrinale e non c'è ragione di ritenere che essa possa riferirsi al solo evento del reato e che l'atteggiamento psicologico nel quale la si fa consistere non possa riguardare anche i presupposti.
L'elemento psicologico del reato è costituito, prima che da una componente volitiva, da una componente rappresentativa, che investe il fatto nel suo complesso, e dunque non solo gli effetti della condotta ma anche gli altri elementi della fattispecie, e dà piena ragione della colpevolezza dell'agente. Perciò se si ritiene che il dolo sia costituito dalla rappresentazione e volizione del fatto antigiuridico o anche, nel caso di dubbio, dalla sua accettazione, alla quale si collega secondo la giurisprudenza il dolo eventuale, non c'è ragione di distinguere il caso in cui il dubbio cade sulla verificazione dell'evento, che viene accettato, da quello in cui cade su un presupposto. In un caso e nell'altro l'agente si rappresenta la possibilità di commettere un delitto e ne accetta la realizzazione: egli non si astiene dal tenere una condotta ben sapendo che può dar luogo a un illecito, anche se questo non viene direttamente voluto.
L'agente, come è stato affermato in dottrina, deve rappresentarsi l'esistenza dei presupposti «come certa o come possibile, accettando l'eventualità della loro esistenza», sicché può dirsi che ci si trova in presenza di un dolo eventuale quando chi agisce «si rappresenta come seriamente possibile (non come certa) l'esistenza di presupposti della condotta ovvero il verificarsi dell'evento come conseguenza dell'azione e, pur di non rinunciare all'azione e ai vantaggi che se ne ripromette, accetta che il fatto possa verificarsi: il soggetto decide di agire "costi quel che costi", mettendo cioè in conto la realizzazione del fatto».
Deve quindi convenirsi che l'atteggiamento psicologico nel quale si fa consistere il dolo eventuale ben può riguardare i presupposti del reato, anche se si tratta di un atteggiamento che in questo caso si riferisce a una situazione già esistente al momento dell'azione mentre quando ha ad oggetto l'evento si riferisce a una situazione futura, che potrà derivare dalla condotta dell'agente.
Del resto il contrasto di giurisprudenza sulla configurabilità del dolo eventuale nella ricettazione, nel caso in cui l'agente si rappresenti la possibilità della provenienza delittuosa della cosa, non concerne la configurabilità di un atteggiamento psicologico del genere rispetto ai presupposti del reato ma il rapporto tra i reati di ricettazione e di incauto acquisto, perché una parte della giurisprudenza è dell'opinione che l'ipotesi in questione rientri specificamente nella previsione dell'art. 712 c.p., che insomma per espressa previsione della legge il dolo eventuale valga a costituire la fattispecie dell'incauto acquisto, rimanendo così sottratto alla sfera applicativa dell'art. 648 c.p.
Il contrasto concerne quindi il rapporto tra i due reati, ma nel caso sottoposto alle Sezioni unite entra in gioco anche il delitto previsto dall'art. 12 d.l. n. 143 del 1991 (sostituito dall'art. 55 d. lgs. 21 novembre 2007, n. 231), che tra l'altro punisce l'acquisto di carte di credito o di pagamento di provenienza illecita.
Con la sentenza 28 marzo 2001, n. 22902, Tiezzi, rv. 218872 le Sezioni unite hanno ritenuto che l'acquisto di carte di provenienza delittuosa costituisca ricettazione, «dovendosi viceversa ricondurre alla previsione incriminatrice di cui all'art. 12, seconda parte, d.l. 3 maggio 1991, n. 143, convertito nella 1. 5 luglio 1991, n. 197 (che sanziona, con formula generica, la ricezione dei predetti documenti "di provenienza illecita"), le condotte acquisitive degli stessi, nelle ipotesi in cui la loro provenienza non sia ricollegabile a un delitto, bensì a un illecito civile, amministrativo o anche penale, ma di natura contravvenzionale». Ciò posto, se si dovesse ritenere che l'acquisto con dolo eventuale di una carta di credito o di pagamento di origine delittuosa non costituisca ricettazione ci si dovrebbe chiedere quale delle due altre fattispecie, quella dell'art. 12 1. n. 143 cit. o quella dell'art. 712 c.p. sia integrata, e verosimilmente si dovrebbe optare per la prima soluzione. E' da aggiungere che nel caso in esame, se questa dovesse essere la conclusione, ci si troverebbe di fronte all'alternativa sull'applicabilità dell'art. 648 c.p. o dell'art. 12 1. n. 143 cit, ma la questione dei rapporti tra l'art. 648 c.p. e l'art. 712 c.p. resterebbe rilevante per stabilire se il dolo eventuale possa o meno integrare il delitto di ricettazione, perché un'eventuale conclusione negativa, rendendo inapplicabile l'art. 648 c.p., lascerebbe il campo all'art. 12 d.l. n. 143 cit.

2. L'orientamento contrario alla tesi della compatibilità tra ricettazione e dolo eventuale è stato ben delineato da Sez. II, 2 luglio 1982, n. 1180/83, Blanc con l'affermazione che il delitto di ricettazione, sia per la sua strutturazione giuridica sia per la sua correlazione logica con la contravvenzione di incauto acquisto, non prevede la punibilità a titolo di dolo eventuale o alternativo, ma solo a titolo di dolo diretto. Secondo questa decisione, ad integrare gli elementi costitutivi della ricettazione «occorre, oltre al presupposto di fatto dell'effettiva esistenza di un delitto da cui il denaro o le altre cose provengano, che l'agente, al momento dell'acquisto o della ricezione, pienamente consapevole dell'origine delittuosa delle cose, volontariamente e coscientemente le abbia trasferite nella propria disponibilità, non essendo sufficiente che egli si sia rappresentata la possibilità di tale origine delittuosa per circostanze idonee a suscitare perplessità sulla lecita provenienza delle cose stesse». Quest'ultima ipotesi, osserva la sentenza Blanc, «ricade invece nell'ambito della specifica previsione dell'art. 712 c. p., che punisce a titolo di colpa l'acquisto o la ricezione di cose che, per le obiettive condizioni stabilite nello stesso disposto di legge, denuncino, di per sé, il sospetto di un'origine di natura delittuosa ovvero anche solo contravvenzionale e impongano all'acquirente, indipendentemente anche dall'effettiva sussistenza di un reato presupposto, l'obbligo di ragionevoli accertamenti sulla liceità o meno della provenienza».
Nello stesso ordine di idee si sono espresse successivamente numerose sentenze tra le quali merita una segnalazione Sez. II, 14 maggio 1991, n. 9271, Castelli, per la chiarezza dell'affermazione del principio di diritto, così massimato: «Il dolo eventuale non è compatibile con il delitto di ricettazione poiché la rappresentazione dell'eventualità che la cosa che si acquista, o comunque si riceve, provenga da delitto equivale al dubbio, mentre l'elemento psicologico della ricettazione esige la piena consapevolezza della provenienza delittuosa dell'oggetto. Per contro il dubbio motivato dalla rappresentazione della possibilità dell'origine delittuosa dell'oggetto per circostanze idonee a suscitare perplessità sulla lecita provenienza dello stesso, integra la specifica ipotesi di reato prevista dall'art. 712 c. p., che punisce l'acquisto di cose di sospetta provenienza».
Una parte di questa giurisprudenza aggiunge però che la certezza nell'agente della provenienza delittuosa della cosa può desumersi anche ¬dagli elementi delineati dall'art. 712 c.p., purché i sospetti siano così gravi e univoci da ingenerare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale e secondo la più comune esperienza, la certezza che non possa trattarsi di cose legittimamente detenute da chi le offre (Sez. II, 3 aprile 1992, n. 2/93, Nicoletti; Sez. II, 21 febbraio 1995, n. 3237, Quasdallah), e analoghe affermazioni sono contenute in numerose decisioni che per riconoscere l'esistenza del dolo diretto utilizzano dati probatori che nella maggior parte dei casi avrebbero potuto più correttamente essere dimostrativi di un dolo eventuale (Sez. II, 20 giugno 1996, n. 8072, Coletto; Sez. VI, 4 giugno 1997, n. 6753/98, Finocchi; Sez. IV, 12 dicembre 2006, n. 4170/07, Azzaouzi).
Opposto a quello che riconduce alla contravvenzione prevista dall'art. 712 c.p. i fatti di acquisto o ricezione con dolo eventuale delle cose di provenienza delittuosa è l'orientamento giurisprudenziale che, ritenendo la contravvenzione di natura esclusivamente colposa, ravvisa un'ipotesi di ricettazione in tutti i casi in cui la condotta dell'agente è sorretta da un dolo, anche solo eventuale.
Chiara in questo senso è Sez. II, 12 febbraio 1998, n. 3783, Conti, che, dopo aver ricordato l'orientamento contrario, obietta che in realtà, confrontando il tenore testuale delle due norme incriminatrici, non emerge affatto che il dolo di ricettazione non possa sussistere se non quando vi sia la soggettiva certezza dell'illecita provenienza della res, sicché mancando questa si verterebbe automaticamente nella minore e diversa ipotesi di cui all'art. 712 c. p. Illuminante al riguardo, secondo la pronuncia in esame, appare in particolare l'esegesi di quest'ultima disposizione, che punisce non chi ha acquistato o ricevuto cose di cui "sospetti" la provenienza da reato ma chi quelle cose ha acquistato o ricevuto quando "si abbia motivo di sospettare" tale provenienza. Di qui la configurazione della contravvenzione di acquisto di cose di sospetta provenienza in termini di reato colposo, perché, si dice: «emerge chiaramente da tale formulazione della norma che il legislatore con l'art. 712 c.p. ha inteso punire la mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della res quando vi sia una oggettiva ragione di sospetto in ordine a detta provenienza. Ciò vale a dire che del reato di cui all'art. 712 c.p. si risponde essenzialmente per colpa consistente appunto nella suddetta mancanza di diligenza». Perciò, «quando invece la situazione fattuale, nella valutazione operata dal giudice di merito in conformità alle regole della logica e dell'esperienza, sia tale da far ragionevolmente ritenere che non vi sia stata una semplice mancanza di diligenza ma una consapevole accettazione del rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, del tutto corretta risulta la configurabilità dell'elemento soggettivo del delitto di ricettazione. Quest'ultimo infatti come ogni delitto, è punibile a titolo di dolo, e il dolo di regola può assumere anche la forma del ed. dolo indiretto o eventuale, salvo che ciò sia escluso dalla particolare struttura della fattispecie incriminatrice».
Un ulteriore approfondimento a sostegno dell'orientamento in esame lo si deve a Sez. II, 15 gennaio 2001, n. 14170, Macchia, che opta per la configurabilità del dolo eventuale in relazione al delitto di ricettazione, osservando che due sono le possibilità che si presentano in concreto: 1) l'agente si è posto il quesito circa la legittima provenienza della res, risolvendolo nel senso dell'indifferenza alla soluzione; 2) l'agente è stato negligente, perché, pur sussistendo oggettivamente il dovere di sospettare circa l'illecita provenienza dell'oggetto - a causa della qualità di quest'ultimo о per la condizione di chi lo offre ovvero per la sproporzionata entità del prezzo - non si è posto il problema. Nel primo caso, rileva la sentenza Macchia, «sussiste il dolo eventuale, poiché il soggetto ha affrontato consapevolmente il rischio di violare il codice penale, ricevendo una cosa che può provenire da delitto e d'incorrere nelle conseguenti sanzioni»; nel secondo caso, invece, la condotta tenuta dall'agente è meramente colposa, perché egli non si è avvalso degli ordinari criteri di prudenza e diligenza per svolgere l'accertamento che la situazione concreta gli imponeva. L'orientamento è stato poi ribadito da varie decisioni; tra le più recenti, favorevoli alla configurabilità del dolo eventuale nel reato di ricettazione, si possono ricordare Sez. II, 22 novembre 2007, n. 45256, Lapertosa; Sez. II, 28 novembre 2008, n. 46966, Gorgoni; Sez. II, 17 dicembre 2008, n. 2807/09, Dragna; Sez. II, 18 febbraio 2009, n. 13358, Rubes; Sez. II, 2 aprile 2009, n. 17813, Ricciardi.

3. Le Sezioni unite ritengono che nessuno dei due orientamenti possa essere interamente condiviso; non il secondo, che arriva all'eccesso di espungere dalla fattispecie dell'art. 712 c.p. anche i casi in cui l'agente abbia un mero sospetto sulla provenienza della cosa. E' vero infatti che l'art. 712 c.p. fa riferimento, come ha osservato la sentenza Conti, a «una oggettiva situazione di sospetto», e non a una situazione soggettiva, ma è anche vero che nulla fa ritenere che la disposizione sia inapplicabile nell'ipotesi in cui i dati oggettivi in essa indicati abbiano determinato un sospetto nell'agente. Una interpretazione siffatta finirebbe con il limitare oltre il ragionevole e senza una sicura base testuale il campo di applicazione dell'incauto acquisto.
Neppure il primo orientamento però può essere condiviso perché dal riconoscimento che nel caso di sospetto è ravvisabile un incauto acquisto trae la conclusione ingiustificata che sia di pertinenza di questa fattispecie tutta l'area che il dolo eventuale potrebbe occupare nel reato di ricettazione, sicché il delitto previsto dall'art. 648 c.p. sarebbe configurabile solo nei casi in cui l'agente abbia la certezza della provenienza della cosa da delitto, mentre sarebbe configurabile solo la contravvenzione prevista dall'art. 712 c.p. in tutti i casi in cui, pur non essendoci elementi dai quali trarre tale certezza, l'agente sia ben consapevole della concreta possibilità che la cosa provenga da delitto e ne accetti il rischio.
Questo orientamento non considera da un lato che il dolo eventuale può riferirsi a situazioni soggettive che investono la provenienza della cosa in forme ben più impegnative di quella del mero sospetto, pur non arrivando a costituire una forma di dolo diretto, e dall'altro che l'art. 712 c.p., a differenza dell'art. 648 c.p., non intende punire l'acquisto o la ricezione di cose con tale provenienza ma più semplicemente l'acquisto o la ricezione di cose rispetto alle quali si abbiano motivi di sospetto, senza aver prima compiuto gli opportuni accertamenti. Correlativamente l'elemento soggettivo della contravvenzione non concerne la provenienza illecita della cosa ma i relativi accertamenti, che non avrebbero potuto essere omessi, e i motivi di sospetto che li rendevano necessari.
L'art. 712 c.p. non richiede espressamente l'effettiva provenienza della cosa, e una parte consistente della giurisprudenza (in questo senso Sez. Ili, 15 aprile 1994, n. 5361, La Grutta; Sez. II, 2 luglio 1982, n. 1180/83, Blanc; Sez. II, 1 ottobre 1980, n. 2232/81, Acquafredda; Sez. VI, 9 febbraio 1971, n. 162, Langella; in senso contrario, ma immotivatamente, Sez. II, 7 luglio 1994, Manduano) e della dottrina è dell'opinione che tale provenienza non debba essere accertata: la norma non lo esigerebbe.
Se si conviene che la contravvenzione sussiste anche quando, in presenza di motivi di sospetto, la provenienza illecita della cosa non viene accertata e comunque che tale provenienza esula dalla fattispecie descritta dall'art. 712 c.p. è ragionevole concludere che essa non fa parte del relativo elemento soggettivo e che quindi non è sostenibile la tesi dell'assorbimento nell'incauto acquisto dei fatti di ricettazione sorretti da dolo eventuale. Sono i motivi di sospetto tipizzati, e non il sospetto, che caratterizzano l'incauto acquisto, e sotto questo aspetto può dirsi che la differenza dalla ricettazione è strutturale. E' possibile che nell'agente venga ingenerato un sospetto, ma questo, quando ciò avviene, costituisce un fatto accidentale, che rimane estraneo alla struttura della contravvenzione.
In conclusione non ci sono argomenti convincenti per ritenere che in ogni ipotizzabile caso di dolo eventuale l'agente dovrebbe rispondere della contravvenzione dell'art. 712 c.p., anziché di ricettazione, sia perché si tratta di una forma di dolo di per sé compatibile con il delitto previsto dall'art. 648 c.p., sia perché non può ritenersi che tale forma integri tipicamente la fattispecie contravvenzionale.
SÌ pensi al caso del collezionista che di fronte all'offerta di un pezzo di pregio sia in dubbio sulla sua provenienza e, considerate le circostanze e le spiegazioni di chi glielo offre, si rappresenti la probabilità che sia di origine delittuosa, anche se non ne ha la certezza, e tuttavia non rinunci all'acquisto perché il suo interesse per il pezzo è tale che lo acquisterebbe anche se gli risultasse che per venirne in possesso chi glielo offre ha commesso un delitto.
In un comportamento del genere non c'è nulla di incauto; c'è la lucida volontà di dare soddisfazione al proprio interesse nella consapevolezza che molto probabilmente l'acquisto si risolve in una ricettazione.
E' vero però che rispetto alla ricettazione il dolo eventuale, a meno che non emerga dalle stesse dichiarazioni dell'agente, viene desunto dalle circostanze del caso, indicative della possibilità che la cosa provenga da delitto, e che queste circostanze ben possono coincidere, e normalmente coincidono, con quelle che l'art. 712 c.p. individua come motivi di sospetto, ed è anche vero che dai semplici e soli motivi di sospetto indicati dall'art. 712 c.p. il giudice non può desumere l'esistenza di un dolo eventuale, perché altrimenti, per le cose provenienti da delitto (e non da contravvenzione), l'incauto acquisto verrebbe nella maggior parte dei casi trasformato in una ricettazione.
Fermo rimanendo quindi che la ricettazione può essere sorretta anche da un dolo eventuale resta da stabilire come debba avvenire il suo accertamento e quali debbano essere le sue caratteristiche, posto che lo stesso non può desumersi da semplici motivi di sospetto e non può consistere in un mero sospetto, se è vero che questo non è incompatibile con l'incauto acquisto. Del resto, come già si è avuto occasione di osservare, il dolo eventuale non forma oggetto di una testuale previsione legislativa: la sua costruzione è rimessa all'interprete ed è ben possibile che per particolari reati assuma caratteristiche specifiche.
Occorrono per la ricettazione circostanze più consistenti di quelle che danno semplicemente motivo di sospettare che la cosa provenga da delitto, sicché un ragionevole convincimento che l'agente ha consapevolmente accettato il rischio della provenienza delittuosa può trarsi solo dalla presenza di dati di fatto inequivoci, che rendano palese la concreta possibilità di una tale provenienza. In termini soggettivi ciò vuol dire che il dolo eventuale nella ricettazione richiede un atteggiamento psicologico che, pur non attingendo il livello della certezza, si colloca su un gradino immediatamente più alto di quello del mero sospetto, configurandosi in termini di rappresentazione da parte dell'agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto.
Insomma perché possa ravvisarsi il dolo eventuale si richiede più di un semplice motivo di sospetto, rispetto al quale l'agente potrebbe avere un atteggiamento psicologico di disattenzione, di noncuranza o di mero disinteresse; è necessaria una situazione fattuale di significato inequivoco, che impone all'agente una scelta consapevole tra l'agire, accettando l'eventualità di commettere una ricettazione, e il non agire, perciò, richiamando un criterio elaborato in dottrina per descrivere il dolo eventuale, può ragionevolmente concludersi che questo rispetto alla ricettazione è ravvisabile quando l'agente, rappresentandosi l'eventualità della provenienza delittuosa della cosa, non avrebbe agito diversamente anche se di tale provenienza avesse avuta la certezza.

4. La sentenza impugnata ha confermato la condanna del ricorrente per il reato ricettazione sulla base di due diverse rationes decidendo il dolo eventuale del ricorrente e la mancanza di giustificazione da parte sua del possesso della carta Viacard, che secondo un orientamento giurisprudenziale sarebbe «sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede».
E' evidente che la seconda ratio decìdendì si risolve in un'affermazione apodittica e ingiustificata, dato che la stessa sentenza impugnata, come quella di primo grado, ha mostrato di dar credito alle dichiarazioni del ricorrente sulle circostanze dell'acquisto della carta Viacard e da queste ha dedotto l'esistenza del dolo eventuale. Perciò è solo sul dolo eventuale che può basarsi l'affermazione di responsabilità per la ricettazione ma sul punto la sentenza non è conforme ai principi affermati da queste Sezioni unite, perché si è limitata ad affermare «che quanto meno il dubbio circa la illecita provenienza della tessera» doveva essersi «affacciato alla mente del ***** il quale senza procedere ad alcuna forma di benché minimo accertamento aveva ricevuto e varie volte utilizzato la carta in questione».
Come si è visto non basta un sospetto e non basta un semplice dubbio per integrare il dolo eventuale della ricettazione e di conseguenza si impone l'annullamento della sentenza impugnata, demandando al giudice di rinvio un nuovo giudizio sul punto relativo all'elemento psicologico, da compiere facendo applicazione dei principi sopra specificati.
L'altro delitto per il quale il ricorrente ha riportato condanna, quello previsto dagli artt. 81 c.p. e 12 d.l. n. 143 del 1991 invece è prescritto, perché in seguito all'applicazione delle attenuanti degli artt. 62, n. 4 e 6 e 62 bis c.p. risulta punito con una pena inferiore a cinque anni di reclusione e il termine di sette anni e sei mesi, determinato in base alle disposizioni previgenti degli artt. 157 e 160 c.p., e decorrente dall'8 luglio 2000 ormai è ampiamente decorso.
Poiché secondo una giurisprudenza di questa Corte, alla quale la sentenza impugnata ha fatto riferimento (per un caso analogo a quello in esame v. Sez. I, 8 marzo, 2006, n. 11937, Elies) e nei cui confronti il ricorrente non svolto critiche argomentate, l'utilizzazione indebita di una tessera Viacard integra il reato previsto dall'art. 12 d.l. n. 143 del 1991 (sostituito dall'art. 55 d. lgs. 21 novembre 2007, n. 231) e non risultano elementi che possano giustificare un'assoluzione a norma dell'art. 129, comma 2, c.p.p., relativamente al reato del capo B) la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché lo stesso è estinto per prescrizione.
Il giudice di rinvio dovrà provvedere all'eventuale rideterminazione della pena e al regolamento delle spese tra le parti per questo giudizio.


P.Q.M..

 

La Corte di cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato sub B) perché estinto per prescrizione; annulla la sentenza impugnata relativamente al reato sub A) e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino, cui demanda anche il regolamento delle spese tra le parti per questo giudizio.

Roma, 26 Novembre 2009