Le Sezioni Unite, a risoluzione di un contrasto, hanno affermato che gli spostamenti di competenza per effetto della connessione tra procedimenti opera indipendentemente dal fatto che la pendenza sussista nello stesso stato e grado, essendo necessario unicamente che essa sia effettiva ed attuale e che nessuno dei procedimenti sia stato definito con sentenza irrevocabile 


RITENUTO IN FATTO
1. La decisione di primo grado.
1.1. **** **** **** veniva condannato alla pena ritenuta di giustizia dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Savona, con sentenza del 27 aprile 2011, perché ritenuto responsabile del delitto di rapina aggravata dall'uso dell'arma, con la contestazione della recidiva reiterata specifica infraquinquennale, commesso ai danni dell'istituto di credito CARIGE in Finale Ligure il 16 settembre 2010, con l'aggravante di essersi volontariamente sottratto all'esecuzione di un ordine di carcerazione spedito per un precedente reato ed emesso dalla Procura generale di Torino in data 22 luglio 2010.
1.2. La pronuncia si soffermava principalmente sulla eccezione di incompetenza territoriale determinata da motivi di connessione sollevata dal ****.
Quest'ultimo, sottoposto alla misura di sicurezza della colonia agricola presso la Casa di reclusione di Isili, aveva fruito di un permesso concessogli dal Magistrato di sorveglianza di Cagliari per il periodo dal 6 al 17 agosto 2010.
Sennonché il ****non rientrò in Isili e si rese responsabile, secondo i giudici di merito, di due rapine in danno di istituti di credito, una commessa in Bossolasco il 7 settembre 2010, località compresa nella circoscrizione del Tribunale di Alba, l'altra commessa in Finale Ligure il 16 settembre 2010, località facente parte della circoscrizione del Tribunale di Savona.
Tratto in arresto in relazione alla prima rapina su ordine dal G.i.p. del Tribunale di Alba, il ****si vedeva notificata una seconda ordinanza di custodia cautelare per la seconda rapina emessa dal G.i.p. del Tribunale di Savona.
Per i fatti di Finale Ligure, per i quali il Pubblico ministero procedeva con giudizio immediato, il ****chiedeva la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica di Alba sul presupposto della sussistenza della continuazione tra i due delitti di rapina.
La richiesta veniva respinta dal G.i.p. di Savona il 21 febbraio 2011 «per mancanza dei presupposti e per la differente fase in cui si trovano i fascicoli, pendenti tra l'altro davanti differenti tribunali».
Successivamente, il 27 aprile 2011 il G.u.p. del Tribunale di Savona dichiarava inammissibile l'eccezione di incompetenza territoriale per connessione, che gli era stata riproposta, sul presupposto della tacita rinuncia allo spostamento della competenza registratasi per effetto della opzione difensiva per il rito abbreviato.
2. La sentenza di appello.
2.1. Con sentenza emessa in data 12 gennaio 2012, la Corte di appello di Genova osservava che non era condivisibile la motivazione del G.u.p., non potendosi ritenere tacitamente accettata la competenza territoriale del giudice procedente come conseguenza della richiesta del rito abbreviato in presenza di specifica eccezione (Sez. 1, n. 34686 del 2011); ma, comunque, respingeva ugualmente l'eccezione perché il **** risultava essere già stato condannato dal Tribunale di Alba con sentenza del 2 febbraio 2011 per il delitto di rapina commesso in Bossolasco.
I due processi, infatti, pendevano in fasi diverse e ciò precludeva la declaratoria di incompetenza territoriale per connessione (Sez. 1, n. 6966 del 1977; Sez. 6, n. 8656 del 1999; Sez. 2, n. 19579 del 2006) non potendosi, peraltro, procedere alla riunione dei procedimenti ai sensi dell'art. 17 cod. proc. pen.
2.2. La Corte di merito, poi, escludeva l'aggravante di cui all'art. 61, comma primo, n. 6, cod. pen., non essendovi la prova della notifica dell'ordine di esecuzione emesso dalla Procura generale di Torino e, ritenuta la recidiva contestata e l'aggravante dell'arma, benché pistola giocattolo, riduceva la pena inflitta al ****in primo grado ad anni cinque, mesi quattro di reclusione ed euro 2.666 di multa.
3. Il ricorso per cassazione.
3.1. Con il ricorso per cassazione l'imputato, tramite il suo difensore di fiducia avv. **** *****, deduceva:
a) la violazione di legge in relazione all'erronea applicazione dell'art. 16 cod. proc. pen. in riferimento alla ordinanza del G.u.p, di Savona pronunciata alla udienza del 27 aprile 2011, e segnalava, in particolare, che nel momento in cui aveva formulato per la prima volta l'eccezione -12 gennaio 2011- il ricorrente non sapeva nulla della richiesta di giudizio immediato e, in ogni caso, il giudizio dinanzi al Tribunale di Alba per la rapina di Bossolasco era, a quella data, ancora in corso.
b) la violazione di legge con riferimento alla erronea applicazione dell'art. 63, comma quarto, cod. pen. in relazione agli artt. 99, comma quarto, cod. pen. e 628, comma terzo, dello stesso codice per avere la Corte di appello operato un duplice aumento di pena per le aggravanti dell'uso dell'arma e della recidiva reiterata specifica infraquinquennale da ritenersi ad effetto speciale, anziché applicare la sanzione stabilita dalla circostanza più grave, come stabilito dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione (sent. n. 20798 del 2011).
3.2. Con memoria difensiva pervenuta alla Direzione della Casa circondariale di Torino il 21 giugno 2012, il ****insisteva sul primo motivo di impugnazione ponendo in evidenza che i due procedimenti al momento della proposizione della eccezione erano pendenti nella stessa fase.
4. L'ordinanza di rimessione.
4.1. La Seconda Sezione penale, con ordinanza emessa in data 25 settembre 2012, rilevava che sulla questione -«se nel caso in cui venga dedotta l'incompetenza per territorio determinata da connessione a norma dell'art. 16 cod. proc. pen., la sussistenza della connessione quale criterio attributivo della competenza operi soltanto se i procedimenti connessi pendono nello stesso stato e grado»-, era ravvisabile un contrasto di giurisprudenza.
Premesso che la questione aveva rilevanza costituzionale alla luce dell'art. 25 della Costituzione e della interpretazione del concetto di "naturalità del giudice" da parte della Corte costituzionale (Corte cost., sent. n. 168 del 2006), secondo cui sarebbe fisiologica la celebrazione del processo nel locus commissi delieti, e che il presupposto giuridico-fattuale per ritenere la connessione tra i due procedimenti era costituito dal riconoscimento della continuazione tra i due episodi criminosi, la Seconda Sezione esaminava la normativa prevista in materia dal codice Rocco e quella prevista dal vigente codice di procedura penale.
Rilevava che sia dalla formulazione originaria dell'art. 12 cod. proc. pen., che da quella risultante dalle modifiche legislative, introdotte sul testo originario dalle leggi 20 gennaio 1992, n. 8, e 1° marzo 2001, n. 63, era lecito desumere che la connessione era stata costruita come criterio originario di attribuzione della competenza e che il legislatore aveva voluto escludere momenti di discrezionalità nella individuazione del giudice territorialmente competente per i procedimenti connessi ed aveva voluto contrastare il fenomeno dei dibattimenti con un elevato numero di imputati.
4.2. Dopo avere posto in evidenza le differenze esistenti tra gli istituti della connessione, di cui all'art. 16 cod. proc. pen., e della riunione dei procedimenti, di cui all'art. 17 dello stesso codice, ed avere rilevato che soltanto per la riunione il legislatore aveva previsto il presupposto della "pendenza dei processi nello stesso stato e grado", la Seconda Sezione segnalava che, secondo la giurisprudenza di legittimità ampiamente maggioritaria (tra le tante, Sez. 1, n. 26857 del 10/06/2010, Piras, Rv. 247728; Sez. 1, n. 24072 del 14/05/2009, Macaiuso, Rv. 244027), la connessione tra procedimenti determina la competenza per territorio solo se i procedimenti stessi si trovano nella medesima fase processuale, pur restando ferma la sua natura di criterio originario ed autonomo di attribuzione della competenza.
4.3. Secondo un indirizzo minoritario e più risalente nel tempo (Sez. 1, n. 4125 del 12/06/1997, Di Biase, Rv. 208399; Sez. 1, n. 3312, del 08/07/1992, Maltese, Rv. 191755), invece, la connessione tra reati opera indipendentemente dalla pendenza dei relativi procedimenti nello stesso stato e grado perché il vincolo tra reati individuato dalla legge costituisce criterio originario ed autonomo di attribuzione di competenza.
Si è tuttavia precisato (Sez. 1, n. 4125 del 1997, Di Biase, cit.) che detto principio non può trovare applicazione allorquando il procedimento per il reato più grave, che esercita la vis attractiva, sia stato definito con sentenza passata in cosa giudicata perché dalia espressione contenuta nella lettera c) dell'art. 12, comma 1, cod. proc. pen. - «se dei reati per cui si procede» - emergerebbe la volontà della legge di limitare l'applicazione della disciplina ai procedimenti attualmente pendenti.
4.4.Il Primo Presidente, con decreto del 9 novembre 2012, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite Penali e ha fissato per la trattazione l'odierna udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La questione di diritto controversa.
1.1.la questione di diritto controversa sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite è la seguente: «Se, nel caso in cui venga dedotta l'incompetenza per territorio determinata da connessione a norma dell'art. 16 cod. proc. pen., la sussistenza della connessione quale criterio attributivo della competenza operi soltanto se i procedimenti connessi pendono nello stesso stato e grado».
Il quesito deve essere affrontato prescindendo dallo specifico riferimento alla "incompetenza per territorio", estendendolo a tutte le competenze determinate da connessione, ovvero sia a quella per materia sia a quella per territorio.
1.2. I termini del problema sono stati chiaramente enunciati dalla ordinanza di rimessione: si tratta di stabilire se la competenza per connessione di cui agli artt. 15 e 16 cod. proc. pen. sia o meno subordinata alla pendenza dei procedimenti connessi nello stesso stato e grado del procedimento.
Sul punto, come rilevato dalla ordinanza di rimessione, vi è un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.
Secondo l'indirizzo ampiamente maggioritario la connessione tra procedimenti determina la competenza solo se i procedimenti si trovino nella medesima fase processuale: così si è stabilito (Sez. 1, n. 26857 del 10/06/2010, Piras, Rv. 247728) che non vi potesse essere spostamento per competenza in relazione a fatti connessi, alcuni giudicati con sentenza in corte di assise ed altri con rito abbreviato.
Si è, inoltre, escluso lo spostamento di un procedimento per effetto di connessione nella ipotesi di pendenza di un procedimento in fase dibattimentale ed altro in quella di indagini preliminari, «dovendosi applicare il principio della operatività delle norme sulla competenza per connessione soltanto tra procedimenti pendenti nella medesima fase processuale» (Sez. 1, n. 24072 del 14/05/2009, Macaiuso, Rv. 244027). Vedi inoltre Sez. 2, n. 19579 del 21/04/ 2006, Foraboschi, Rv. 234194, che ha sottolineato che la parte che solleva l'eccezione di incompetenza per territorio determinata dalla connessione ha l'onere di provare sia la pendenza attuale dell'altro procedimento nella medesima fase, sia la connessione qualificata ai sensi delle lettere b) e c) dell'art. 12 cod. proc. pen,; Sez. 1, n. 19003 del 08/04/2004, Darocz, Rv. 227947, che, dopo avere stabilito che lo spostamento della competenza per territorio è subordinato alla pendenza dei procedimenti nella stessa fase processuale, ha, comunque, sottolineato che si tratta di un criterio originale ed autonomo di attribuzione della competenza ed ha precisato che gli episodi uniti dal vincolo della continuazione debbono riguardare lo stesso imputato; Sez. 6, n. 8656 del 19/05/1999, Fracasso, Rv. 214685; Sez. 1, n. 2794 del 29/01/1998, Presti, Rv. 210004; Sez. 1, n. 6966 del 11/12/1997, dep. 1998, Sidoti, Rv. 209895; Sez. 1, n. 6780 del 02/12/1997. Maida, Rv. 209374, che ha precisato che la pendenza nella stessa fase è rilevante nel conflitto di competenza, ma non in quello di giurisdizione; Sez. 1, n. 5360 del 26/10/1995, Ranzato, Rv. 203041, che ha sottolineato la necessità che i due procedimenti connessi siano pendenti; Sez. 1, n. 4444 del 11/10/1994, Polverino, Rv. 199663.
1.3. Secondo un indirizzo minoritario, che però è condiviso dalla dottrina, invece, lo spostamento del procedimento penale per competenza per connessione tra reati opera indipendentemente dalla pendenza dei relativi procedimenti nello stesso stato e grado; ciò sia perché il vincolo tra reati individuato dalla legge costituisce criterio originario ed autonomo di attribuzione della competenza, sia perché le norme -artt. 15 e 16 cod, proc. pen.- non richiedono la pendenza dei procedimento nello stesso stato e grado (così Sez. 1, n. 4125 del 12/06/1997, Di Biase, Rv. 208339, che ha tuttavia precisato che il principio non trova applicazione allorquando il procedimento per il reato più grave, che esercita la vis attractiva sia stato definito con sentenza passata in giudicato, essendo necessaria le pendenza, o la possibile pendenza, dei due procedimenti; Sez. 1, n. 6754 del 30/04/1996, Biasoli, Rv.205179, secondo cui una volta radicata la competenza risultano irrilevanti le successive evenienze processuali, quali ad esempio la separazione della posizione del coimputato accusato dei reati che avevano determinato anche per gli altri coimputati la competenza per connessione, per il principio della perpetuatio iurisdictionis; Sez. 1, n. 3312 del 08/07/1992, Maltese, Rv. 191755, che ha chiarito, tra l'altro, che la eventuale archiviazione di uno dei procedimenti vale a sciogliere il vincolo di connessione per l'altro reato o imputato, mentre nel caso di intervenuta condanna per uno soltanto dei reati e degli imputati il predetto vincolo permane).
2. La risoluzione del contrasto.
L'interpretazione letterale delle norme attualmente vigenti in materia di competenza per connessione, quella logica-sistematica dell'istituto in considerazione della evoluzione legislativa, nonché la volontà del legislatore desunta anche dai lavori parlamentari e dalla Relazione al codice di procedura penale consentono di ritenere fondato l'indirizzo giurisprudenziale minoritario, nel senso che lo spostamento di competenza per connessione non richiede la pendenza dei procedimenti connessi nello stesso stato e grado.
3. L'evoluzione legislativa in materia di connessione.
3.1. Il codice Rocco prevedeva all'art. 45 numerosi casi di connessione e disciplinava gli «Effetti della connessione sulla competenza per territorio» (così la rubrica dell'art. 47 cod. proc. pen. previgente) come deroghe ai principi generali dettati in via principale in tema di attribuzione di competenza, stabilendo che «la competenza per i procedimenti connessi rispetto ai quali più giudici sono egualmente competenti per materia appartiene a quello tra essi nella circoscrizione del quale fu commesso il reato più grave o in caso di pari gravità il maggior numero di reati».
In effetti dai lavori preparatori al codice del 1930 emerge la consapevolezza che «la competenza per connessione in realtà non fosse che una modificazione della competenza per materia e per territorio» e che si trattasse di uno strumento finalizzato a consentire «la trattazione contemporanea dei processi connessi ad opera di un unico organo» (così Sez. 1, n. 171 del 31/01/1968, Glielmi, Rv, 108092, ed autorevole dottrina).
Quindi in tale contesto normativo, come interpretato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, la pendenza di più procedimenti nella stessa fase era condizione necessaria per giungere al simultaneus processus attraverso la loro unificazione; naturalmente, come è stato efficacemente rilevato da autorevole dottrina, una scelta a posteriori sulla opportunità di riunire o separare i procedimenti finiva per riflettersi sulla individuazione del giudice competente per il merito, compromettendo il principio del giudice naturale.
In effetti il numero rilevante delle ipotesi di connessione e la valutazione discrezionale in ordine alla opportunità o meno di riunire o separare i procedimenti rendeva la disciplina del codice Rocco in materia poco compatibile con il principio del giudice naturale precostituito per legge di cui all'art. 25 della Costituzione, che, invece, richiede, trattandosi di materia con riserva di legge, norme chiare da interpretare in maniera rigorosa e spazi di discrezionalità del giudice assenti o, comunque, limitati.
3.2. L'innovazione introdotta con il codice del 1988 consiste proprio nella definizione della connessione come criterio originario di individuazione del giudice competente al pari della competenza per materia e per territorio e non come criterio di modificazione della competenza, come era nel codice previgente; tale innovazione fu determinata dalla volontà di escludere ogni discrezionalità nella determinazione del giudice competente e, quindi, di rispettare nella misura massima possibile il principio del giudice precostituito per legge.
Il perseguimento di tali obiettivi, unitamente a quello di ridurre le ipotesi di processi con pluralità di regiudicande per fatti di reato diversi e con un altissimo numero di imputati, è stato esposto con estrema chiarezza nel Progetto preliminare del vigente codice di procedura penale; e conseguenza ovvia di tale impostazione è stata la rigorosa delimitazione dei casi di connessione a fatti oggettivi, non comportanti ampi spazi di valutazione discrezionale e non modificabili successivamente, con la eliminazione dei c.d. casi di connessione probatoria «virtualmente esposta a criteri facilmente determinabili post factum» e la eliminazione della clausola, ancora presente nel Progetto del codice di procedura penale del 1978, che limitava l'operatività della connessione ai procedimenti pendenti nel medesimo stato e grado.
3.3. Il testo originario dell'art. 12 cod. proc. pen. - che prevedeva alla lettera a) la connessione oggettiva «se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro, o se più persone con condotte indipendenti hanno determinato l'evento»; alla lettera b) la connessione soggettiva «se una persona è imputata di più reati con una sola azione od omissione ovvero con più azioni od omissioni in unità di tempo e di luogo»; e alla lettera c) la connessione teleologica «se una persona è imputata di più reati, quando gli uni sono stati commessi per eseguire od occultare gli altri» - rispondeva pienamente ai criteri di riduzione e semplificazione dei casi di connessione e di riduzione della discrezionalità dinanzi indicati.
Sennonché, con l'art. 1 d.l. 20 novembre 1991, n. 367, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 gennaio 1992, n. 8, il testo originario dell'art. 12 cod. proc. pen, veniva modificato per rendere, presumibilmente, più agevole la celebrazione di procedimenti e dibattimenti con un alto numero di imputati ritenuti necessari per fronteggiare la criminalità organizzata.
Le modifiche concernevano la lettera b) con la eliminazione della espressione «in unità di tempo e di luogo» e l'aggiunta dopo il termine "omissioni" dell'espressione «esecutive di un medesimo disegno criminoso», nonché la lettera c) con la conferma della connessione teleologica - reati commessi allo scopo di eseguirne altri - l'ampliamento di quella consequenziale - reati commessi per occultarne altri (ipotesi già prevista), ovvero per conseguire o assicurare al colpevole o a terzi il profitto, il prezzo, il prodotto di un altro reato o l'impunità - e la previsione della connessione occasionale - reati commessi in occasione di altri -.
Negli anni successivi, però, evidentemente si è preso atto che l'eccessivo ampliamento dei casi di connessione e di aumento della discrezionalità di accertamento delle varie ipotesi previste fosse poco compatibile con la costruzione della connessione come criterio originario attributivo di competenza e poco rispettoso del principio del giudice naturale precostituito per legge, sicché, con l'art. 1, comma 1, della legge 1° marzo 2001, n. 63, si è provveduto ad abrogare le ipotesi di connessione di reati «commessi in occasione di altri ovvero per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità»; e in tal modo l'art. 12 cod. proc. pen. è ritornato quasi alla formulazione originaria con l'unica modifica concernente le ipotesi di connessione dei reati esecutivi di un unico disegno criminoso.
Quindi è certamente vero che il solo caso di connessione costituito dalla continuazione tra reati sia sopravvenuto alla disciplina originaria prevista dal codice, ma siffatta innovazione non è tale da mettere in discussione le finalità perseguite con la disciplina del 1988.
3.4. Deve invero essere affermato che una interpretazione logico-sistematica dell'istituto della competenza per connessione di cui agli artt. 15 e 16 cod. proc. pen. impone di ritenere che essa costituisca un criterio originario di attribuzione della competenza, che prescinde dalla pendenza dei procedimenti nello stesso stato e grado.
4. La connessione dei procedimenti e la riunione dei processi.
In effetti la giurisprudenza maggioritaria in tema di competenza per connessione che richiede la condizione della pendenza dei procedimenti nello stesso stato e grado sovrappone ingiustificatamente i due istituti della competenza per connessione e della riunione dei processi.
Come ha efficacemente affermato la Corte costituzionale (Corte cost., ord. n. 247 del 1998) quello previsto dagli artt. 15 e 16 cod. proc. pen. «è strumento attributivo in via originaria della competenza, operante nelle ipotesi tassativamente descritte dall'art. 12 cod. proc. pen., mentre l'istituto della riunione previsto nei casi indicati dall'art. 17 cod. proc. pen. (tra cui rientrano le ipotesi di connessione, nonché quelle dei reati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre e del collegamento probatorio tra i vari reati), è invece destinato ad operare solo quando i processi sono già pendenti davanti allo stesso giudice, essendo criterio di mera organizzazione del lavoro giudiziario, subordinato alla condizione che la celebrazione cumulativa dei processi non ne pregiudichi la rapida definizione».
Quindi la riunione è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice - la norma usa il verbo "può" - ed attiene alla distribuzione interna dei processi ed all'economia dei giudizi (Sez. 5, n. 26064 del 09/06/2005, Colonna, Rv. 231915); può avere ad oggetto solo i processi e non anche i procedimenti (Sez. 6, n. 3011 del 04/08/1992, Viola, Rv. 191953); e, come risulta evidente dalle espressioni letterali usate nelle due norme in esame, presuppone che i processi siano pendenti nello stesso stato e grado dinanzi al medesimo giudice e che non pregiudichi le esigenze di celerità nella definizione dei giudizi.
Si tratta di requisiti e presupposti del tutto diversi rispetto alla competenza per connessione; quest'ultima, quindi, opera su un piano nettamente distinto rispetto alla riunione; ciò significa che la praticabilità o meno di quest'ultima non condiziona l'operatività della connessione, mentre non è per lo più vero il contrario, posto che per l'art. 17 cod. proc. pen. la riunione, salva l'ipotesi di cui alla lettera c), è possibile nei casi di connessione ed in presenza delle altre condizioni dinanzi richiamate.
Sono comprensibili alcune perplessità frutto della varietà di accenti con i quali è solita esprimersi la giurisprudenza di legittimità in ordine ai criteri per ritenere sussistente o meno il vincolo della continuazione e, quindi, dell'aumento del tasso di discrezionalità nella individuazione del giudice competente, ma ciò non consente di ritenere modificata la fisionomia dell'istituto della competenza per connessione, come delineato dal codice del 1988, né legittima una disciplina diversa, nel silenzio del legislatore, per le ipotesi di connessione per continuazione con la previsione soltanto per tale ipotesi della pendenza dei procedimenti nello stesso stato e grado.
Ciò non solo perché tale ultimo requisito è previsto dal legislatore soltanto dall'art. 17 cod. proc. pen., che disciplina i casi di riunione dei processi, e non dagli artt. 15 e 16 cod. proc. pen., che regolano i casi di competenza per connessione, ma anche perché accertare il nesso teleologico tra i reati, che è anch'esso un fatto psicologico più che oggettivo, non è meno problematico che accertare la sussistenza della unicità del disegno criminoso tra reati; inoltre non possono essere problemi interpretativi che riguardano l'applicazione di un istituto a giustificare la sua "riduzione".
5. L'interpretazione letterale
L'indirizzo minoritario, oltre a trovare il conforto di una interpretazione logico-sistematica dell'istituto della competenza per connessione, appare corretto non solo perché evita la sovrapposizione con il diverso istituto della riunione, che ha disciplina e finalità del tutto diverse, ma anche perché è pienamente conforme alla lettera della legge.
Come sì è già avuto modo di notare, mentre il codice del 1930 parlava all'art. 47 di "effetti della connessione sulla competenza", lasciando chiaramente intendere che si trattava di norma derogatoria rispetto al generale criterio di individuazione del giudice competente, quello attualmente vigente con gli artt. 15 e 16 disciplina, come efficacemente chiarisce la rubrica dei predetti articoli, la "competenza per materia determinata da connessione" e la "competenza per territorio determinata da connessione".
Se è vero che la indicazione della rubrica non è di per sé risolutiva per interpretare le singole disposizioni contenute nell'articolo, è pure vero che essa fornisce validi elementi interpretativi, quando risulti confermata, come nel caso di specie, dalla lettera della legge.
E infatti, oltre alla considerazione che nell'ambito del Libro I del codice di procedura penale, il Capo II dedica tre sezioni differenti alla competenza per materia, a quella per territorio ed a quella per connessione, mostrando di disciplinarli come tre diversi criteri originari ed autonomi di individuazione della competenza, va detto che il tenore delle disposizioni degli articoli in discussione chiaramente denota la volontà di costruire la competenza per connessione come criterio originario ed autonomo di determinazione del giudice competente e non come ipotesi di deroga ai generali criteri della competenza per territorio e per materia.
Inoltre nell'art. 16 cod. proc. pen. manca, come si è già notato, qualsiasi riferimento alla necessità della pendenza dei procedimenti nello stesso stato e grado e tale omissione, come si desume dalla Relazione al codice, è stata voluta dal legislatore e non è affatto casuale perché con essa si mirava a ridurre gli spazi di discrezionalità del giudice nella individuazione del giudice competente ed a sganciare l'istituto della competenza per connessione da quello della riunione proprio per evitare che la valutazione di opportunità che contraddistingue gli istituti della riunione e separazione dei processi potesse incidere sulla individuazione del giudice competente, materia di rilevanza costituzionale.
6. La competenza per connessione ed il principio del giudice naturale precostituito per legge.
La interpretazione prospettata non contravviene, come da qualcuno ipotizzato, al principio costituzionale di cui all'art. 25 della Costituzione del giudice naturale precostituito per legge.
«Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge» recita il primo comma del citato art. 25 Cost.; ciò significa che il giudice competente a celebrare il processo deve essere preventivamente individuato secondo criteri generali ed astratti e non fissati in vista di singole controversie (Corte cost., sent. n. 207 del 1987).
Questo e non altro può significare il termine "precostituito"; più precisamente il giudice deve essere individuabile prima che si verifichi il fatto storico che generi il processo.
Ma, secondo alcuni e anche secondo l'orientamento espresso da alcune pronunce del giudice delle leggi espressamente richiamate nella ordinanza di rimessione, il concetto di giudice naturale non si risolve in quello di giudice precostituito per legge, nel senso che il predicato della naturalità assumerebbe nel processo penale un carattere del tutto particolare in ragione della fisiologica allocazione di quel processo nel locus commissi delieti; costituisce, infatti, principio tradizionale quello che il diritto e la giustizia devono riaffermarsi proprio nel luogo ove sono stati violati (vedi Corte cost., sent. n. 168 del 2006); ciò potrebbe, secondo alcuni, comportare problemi in ordine alla legittimità delle norme in materia di connessione.
Per il vero, accanto alla richiamata decisione n. 168 del 2006, che aveva, comunque, dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 45, comma primo, cod. proc. pen. sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, comma secondo, e 111, comma secondo, Cost., ve ne sono altre più recenti che affermano che «il principio del giudice naturale deve ritenersi osservato quando l'organo giudicante sia stato istituito dalla legge sulla base di criteri generali fissati in anticipo e non in vista di singole controversie (sent. n. 30 del 2011) e la competenza venga determinata attraverso atti di soggetti ai quali sia attribuito il relativo potere, nel rispetto della riserva di legge esistente in tale materia (ordd. nn. 417 e. 112 del 2002)» (così Corte cost., sent. n. 117 del 2012).
In effetti con il precetto costituzionale dell'art. 25 si è voluto garantire che la individuazione della competenza degli organi giudiziari, al fine di una rigorosa garanzia della loro imparzialità, venisse sottratta ad ogni possibile arbitrio (Sez. U, n. 13687 del 28/01/2003, Berlusconi, Rv. 223636); la determinazione della competenza deve, quindi, avvenire in base a norme caratterizzate da un sufficiente grado di determinatezza, di rigorosa interpretazione e sottratte nella misura massima possibile a valutazioni di discrezionalità.
Orbene, a parte il fatto che, come è stato autorevolmente osservato, anche in tema di competenza per connessione la individuazione del giudice competente per territorio riposa comunque su un collegamento tra uno dei fatti connessi ed il locus commissi delieti, va detto che è proprio il riferimento ad un requisito non contemplato dal sistema, quale la pendenza dei procedimenti connessi nello stesso stato e grado, che finisce con il tradire il principio costituzionale del giudice naturale precostituito introducendo un requisito non previsto dal legislatore, non ricavabile dal tessuto normativo e tale da creare incertezza sulla sua applicazione.
Per concludere sul punto, proprio la previsione della competenza per connessione come criterio originario di attribuzione della competenza, la esclusione di requisiti, come quello in discussione, al fine dichiarato di escludere ogni discrezionalità nella determinazione del giudice competente, la riduzione significativa dei casi di connessione rispetto alla normativa previgente, la eliminazione di ogni valutazione di opportunità nella individuazione del giudice competente e la previsione di norme sufficientemente determinate rendono l'istituto compatibile con i principi costituzionali, in quanto del tutto idoneo a garantire la individuazione di un giudice imparziale.
7. Alcune ulteriori considerazioni.
7.1. E' del tutto evidente che l'istituto della connessione tra procedimenti presuppone che siano, o possano essere, pendenti più procedimenti per reati che ai sensi dell'art. 12 cod. proc. pen. siano connessi; ciò a prescindere dal riferimento alla espressione di cui alla lettera c) dell'art. 12 cod. proc. pen. «se dei reati per cui si procede» richiamata da alcune decisioni (Sez. 1, n. 4125 del 12/06/1997, De Biase, cit.) a sostegno di tale tesi, dal momento che essa non è riportata nella lettera b) che disciplina la connessione per continuazione.
Infatti il problema di un eventuale spostamento del processo per effetto di connessione tra due reati si può porre, sul piano logico, soltanto quando due o più procedimenti siano, o possano essere, pendenti; in caso contrario non si pone alcun problema di connessione di reati.
7.2. Bisogna, poi, rilevare che nell'attuale codice di procedura penale la contestazione è, nella fase delle indagini preliminari, per così dire fluttuante, cosicché il thema decidendum del processo si cristallizza soltanto con il rinvio a giudizio.
Ora se è vero che i criteri di attribuzione della competenza riguardano sia la fase delle indagini che quella del giudizio, è pure vero che la competenza diviene definitiva soltanto con la fase del giudizio (vedi sul punto Sez. 5, n. 45418 del 29/09/2004, lussu, Rv. 230413).
Da ciò consegue che se prima della chiusura delle indagini preliminari sopravvenga una pronuncia di archiviazione relativamente ad alcuno dei fatti tra loro connessi, non può invocarsi il principio della perpetuano iurisdictionis per sostenere, anche con riguardo agli altri fatti, il permanere della competenza del giudice inizialmente individuato sulla base della connessione (vedi oltre la citata sentenza lussu, anche Sez. 5, n. 736 del 12/02/1999, Rubino, Rv. 212879; Sez.
1, n. 6442 del 17/11/1997, Caligini, Rv. 208946; Sez. 1, n. 3308 del 12/05/ 1997, Olivieri, Rv. 207757).
7.3. Alle stesse conclusioni si deve pervenire nella ipotesi in cui il procedimento per il reato più grave, che esercita la vis attractiva, sia stato definito con sentenza passata in cosa giudicata (vedi Sez. 1, n. 4125 del 12/06/1997, Di Biase, Rv. 208399) proprio perché in siffatta situazione non vi sono, né vi possono essere, più procedimenti connessi pendenti.
7.4. Al di fuori di tali ipotesi, però, proprio perché la competenza per connessione è criterio originario di attribuzione della competenza, una volta stabilita, detta competenza è indifferente agli epiloghi processuali delle singole regiudicande in qualunque stato del processo, dovendo in siffatte situazioni essere rispettato il principio della perpetuano iurisdictionis (Sez. 6, n. 1131 del 12/12/1996, dep. 1997, Cama, Rv. 206901; vedi anche Sez. 1, n. 3312 del 08/07/1992, Maltese, Rv. 191755).
8. Enunciazione del principio di diritto.
In conclusione, va affermato il seguente principio di diritto: «La operatività dell'incompetenza determinata da connessione non è subordinata alla pendenza dei procedimenti connessi nello stesso stato e grado, essendo quello della competenza per connessione criterio originario ed autonomo di attribuzione della competenza».
9. La fondatezza del primo motivo di ricorso.
9.1. In applicazione dei principi suesposti, e delle considerazioni che seguono, deve ritenersi fondato il primo motivo di ricorso.
La sentenza impugnata non ha rispettato il principio di diritto dinanzi enunciato perché la Corte di merito, come già posto in evidenza, ha rigettato l'eccezione di incompetenza territoriale per connessione sollevata dal difensore del ****perché i due procedimenti si trovavano in fasi diverse, essendo stato l'imputato già condannato in primo grado per la rapina consumata in Bossolasco dal Tribunale di Alba il 2 febbraio 2011 e non potendosi, quindi, procedere alla riunione dei due procedimenti ai sensi dell'art. 17 cod. proc. pen.
Per tutte le ragioni esposte nei paragrafi precedenti la tesi della Corte di appello è infondata posto che gli unici limiti allo spostamento di competenza per effetto di connessione si sarebbero potuti intravedere in presenza di una archiviazione dei fatti di Bossolasco o di una sentenza passata in cosa giudicata, circostanze entrambe non ravvisabili nel caso di specie.
Ciò a prescindere dal fatto che al momento della proposizione per la prima volta della eccezione di incompetenza dinanzi al G.i.p. del Tribunale di Savona - il 12 gennaio 2011 - il Tribunale di Alba non si era ancora pronunciato in ordine al reato consumato in Bossolasco, essendo il relativo procedimento ancora pendente.
9.2. La Corte di merito, nel rigettare il motivo di appello concernente la inammissibilità della eccezione di incompetenza per connessione dichiarata dal G.u.p. del Tribunale di Savona per implicita rinuncia alla stessa per effetto della richiesta dell'imputato di essere giudicato con il rito abbreviato, si è discostata dalla relativa motivazione resa da tale Giudice, pervenendo, come rilevato, al rigetto della eccezione per mancanza del presupposto della contemporanea pendenza dei due procedimenti nello stesso stato e grado; motivazione quest'ultima adottata in precedenza anche dal G.i.p. del Tribunale di Savona.
L'argomento utilizzato dal G.u.p. di Savona è, quindi, certamente superato; tuttavia appare opportuno ribadire, in aderenza ad una recente decisione della Sezioni Unite (n. 27996 del 29/03/2012, Forcelli, Rv. 252612), che la richiesta di rito abbreviato, che in base alla normativa attualmente vigente costituisce un vero e proprio diritto dell'imputato, non può significare rinuncia alla eccezione di incompetenza per territorio, perché una soluzione interpretativa che imponesse l'alternativa tra diritto di accesso al rito e diritto al giudice naturale risulterebbe incompatibile con diversi parametri costituzionali.
Come correttamente rilevato dalla Corte di merito, con detta sentenza le Sezioni Unite, superando un contrasto di giurisprudenza, nel l'affronta re un caso simile a quello in discussione, hanno, condivisibilmente, stabilito che l'eccezione è proponibile in limine al rito alternativo non preceduto da udienza preliminare, mentre, qualora quest'ultimo venga instaurato nella stessa udienza, l'incidente di competenza può essere sollevato, sempre in limine a tale giudizio, solo se già proposto e rigettato in sede di udienza preliminare.
9.3. La Corte di merito, nel rigettare il motivo di impugnazione concernente l'incompetenza per territorio per connessione, ha probabilmente ritenuto pregiudiziale la mancanza del presupposto della contemporanea pendenza dei due processi nello stesso stato e grado e non ha per nulla valutato la sussistenza o meno dei presupposti per ritenere i due reati ascritti al **** uniti dal vincolo della continuazione.
Sul punto, infatti, manca del tutto la motivazione, non potendosi, peraltro, ritenere che il predetto vincolo sia stato implicitamente ritenuto sussistente.
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata e la Corte di merito, quale giudice di rinvio, dovrà accertare se esiste o meno la continuazione tra i due reati, traendone, nel caso positivo, le conseguenze che derivano dal principio di diritto dinanzi affermato e dai criteri previsti dal comma 1 dell'art. 16 cod. proc. pen.
10. Il secondo motivo di ricorso.
Il secondo motivo, concernente la erronea determinazione della pena per violazione dell'art. 63, comma quarto, cod. pen., resta evidentemente assorbito dall'accoglimento del primo motivo di ricorso.
11. Conclusioni.
Di conseguenza, in accoglimento del primo motivo di ricorso la sentenza impugnata deve essere annullata e gli atti vanno rinviati ad altra sezione della Corte di appello di Genova, che dovrà accertare se tra i due reati sia ravvisabile connessione, sotto il profilo della continuazione ex art. 12, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.

                                                                                                     P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Genova.
Così deciso il 28/02/2013