Le Sezioni Unite hanno affermato che la pena da infliggere per i reati astrattamente punibili con l’ergastolo è quella prevista dalla legge vigente nel momento della richiesta di accesso al rito: ne consegue che, ove quest’ultima sia intervenuta nel vigore dell’art. 7 d.l. n. 341 del 2000, va applicata (ed eseguita) la sanzione prevista da tale norma. 


RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di assise di appello di Lecce, con sentenza del 31 maggio 2005, divenuta irrevocabile il 12 luglio 2007, confermava la decisione in data 20 febbraio 2003 del Giudice della udienza preliminare del locale Tribunale, nella parte in cui, all'esito del giudìzio abbreviato, aveva condannato Antonio Giannone alla pena dell'ergastolo in relazione ai reati di omicidio, tentato omicidio, detenzione e porto abusivi di armi, associazione di tipo mafioso, commessi fino al 1° giugno 1999.
2. Il Giannone proponeva in data 17 febbraio 2011 incidente di esecuzione, chiedendo la sostituzione della pena dell'ergastolo inflittagli con quella temporanea della reclusione di anni trenta.
Il condannato, richiamate le varie leggi succedutesi nel tempo e, in particolare, l'art. 30, comma 1, lett. b)f legge 16 dicembre 1999, n. 479, e l'art. 7 d.l. 24 novembre 2000, n. 341, convertito dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4, che avevano modificato l'art. 442, comma 2, cod. proc. pen., con riferimento alla pena da infliggere in caso di condanna per reati punibili con la pena dell'ergastolo, sosteneva che avrebbe avuto diritto all'applicazione e all'esecuzione della pena meno severa prevista dalla prima norma, e ciò in coerenza con quanto stabilito dalla sentenza della Corte EDU, G.C., 17/09/2009, Scoppola c. Italia, che aveva interpretato il principio di legalità convenzionale di cui all’art. 7 CEDU nel senso che garantiva non soltanto la irretroattività della legge penale più sfavorevole, ma anche la retroattività della lex mitior, ed aveva qualificato la disposizione di cui all'art. 442, comma 2, cod. proc. pen. come norma di diritto penale sostanziale, soggetta quindi alle regole di cui alla citata norma convenzionale, nella interpretazione datane dalla Corte europea.
3. La Corte di assise di appello di Lecce, quale giudice dell'esecuzione, con ordinanza In data 28 marzo 2011, richiamando l'orientamento espresso da Sez. 1, n. 6559 del 18/01/2011, Raffaelli, dichiarava inammissibile la richiesta, rilevando che il Giannone «avrebbe dovuto prima adire la Corte europea e, se vittorioso, richiedere al giudice dell'esecuzione di dichiarare l'ineseguibilità della sentenza pregiudizievole».
4. Ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, il Giannone, deducendo la violazione degli artt. 3, comma primo, 10, comma primo, 24, 25, 111, comma secondo, e 117, comma primo, Cost., in riferimento al principio di legalità convenzionale di cui all’art. 7 CEDU, e sollecitando l'annullamento dell'ordinanza impugnata con ogni conseguente statuizione.
Il ricorrente richiama alcune decisioni dei giudici di merito che avevano disposto in casi analoghi, pur senza che fosse stata preventivamente adita la giurisdizione sovranazionale, la sostituzione della pena dell'ergastolo con quella temporanea di anni trenta di reclusione, in applicazione dei principi fissati da Corte EDU, G.C., 17/09/2009, Scoppola c. Italia; evidenzia la disparità di trattamento che si verificherebbe tra cittadini dello stesso Stato, ove sia negata la vincolatività, per la decisione della sua posizione, di quanto statuito dalla Corte di Strasburgo; sottolinea che la giurisprudenza di legittimità richiamata nell’ordinanza impugnata è del tutto inconferente, perché riguarda una fattispecie completamente diversa; richiama Sez. U, n. 18288 del 21/01/2010, Beschi, secondo cui il giudice nazionale ha l'obbligo «di interpretare la normativa interna in senso conforme alle previsioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nel significato ad esse attribuito dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo»; ritiene che l'estrema chiarezza della richiamata sentenza sovranazionale e l'esigenza «di dare immediato riconoscimento all'efficacia nel nostro ordinamento della normativa e delle decisioni delle Istituzioni europee» impongono di evitare ¡I preventivo ricorso autonomo alla Corte EDU, in quanto ciò violerebbe i «principi costituzionali dell'economia dei mezzi processuali e della ragionevole durata del procedimento»; richiama adesivamente Sez. 1, n. 32678 del 12/07/2006, Somogyi, che, a suo dire, avrebbe affermato il generale obbligo del giudice italiano di conformarsi alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo; evidenzia, infine, che, a seguito della «comunitarizzazione» della CEDU per effetto della ratifica del Trattato di Lisbona del Io dicembre 2009, in considerazione dell’esplicito richiamo operato dall'art. 6, commi 2 e 3, del Trattato U.E., che prevede l'adesione dell'Unione Europea alla CEDU, le norme di tale Convenzione entrano a pieno titolo a fare parte del sistema nazionale e i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione divengono «diritto dell'Unione».
5. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta del 7 novembre 2011, ribadita il 14 marzo 2012, nel sollecitare il rigetto del ricorso, pur dando atto che è compito del giudice nazionale verificare la praticabilità di una interpretazione della normativa interna conforme a quella convenzionale e che non è «estraneo al sistema un intervento interpretativo in tale direzione anche [...] in sede di incidente di esecuzione», rileva che il caso in esame non è sovrapponibile al caso Scoppola c. Italia, in quanto il Giannone aveva formulato la richiesta di accesso al giudizio abbreviato, da cui scaturiva l'individuazione del trattamento sanzionatorio, nel momento in cui era già entrato in vigore il d.l. n. 341 del 2000, in forza del quale alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, andava sostituita quella dell'ergastolo; a tale esito il Giannone aveva fatto affidamento e ad esso i giudici erano pervenuti, considerato che, nell'arco di tempo compreso tra la richiesta di rito semplificato e l'irrogazione della pena, «nessun mutamento legislativo in senso più favorevole era intervenuto».
6. Il Consigliere delegato dal Primo Presidente per Tesarne preliminare dei ricorsi pervenuti alla Prima Sezione penale, con nota dei 1° marzo 2012, ha segnalato l'opportunità di assegnare il ricorso alle Sezioni Unite penali, stante la speciale importanza delle questioni implicate.
7. Il Primo Presidente, con decreto in pari data, ha assegnato - a norma dell’art. 610, comma 2, cod. proc. pen. - il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l'odierna udienza camerale.
8. E' stata depositata in data 4 aprile 2012, nell'interesse dei ricorrente, memoria difensiva, con la quale si deduce, a integrazione delle doglianze già articolate, l'erronea applicazione della legge penale e di quella processuale in relazione agli artt. 666, 670 cod. proc. pen., 6, 7, 46 CEDU, nonché l'illogicità della motivazione in relazione ai principi dettati da tali norme, nella parte in cui, pur non escludendo la fondatezza della tesi posta a base dell'incidente di esecuzione, si riteneva obbligatorio il previo ricorso alla Corte di Strasburgo, nonostante la costituzionalizzazione delle regole di successione di leggi penali nel tempo, che imponeva l'immediata applicazione dei principi richiamati dalla Corte EDU, i quali «assumono il valore di "cosa giudicata interpretata" e rilevano nell'ordinamento interno sia sotto il profilo della esecutività delle decisioni adottate nei casi esaminati, sia sotto il profilo della precisazione degli obblighi assunti dall'Italia con l'adesione alla Convenzione, obblighi di cui devono tenere conto i giudici nazionali quando applicano il diritto interno». Si aggiunge, quanto all'intangibilità del giudicato, che essa deve cedere di fronte ad esigenze di giustizia sostanziale, finalizzate a tutelare diritti fondamentali della persona, qual è quello che incide sulla libertà, strettamente connesso al principio della legalità della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato assegnato alle Sezioni Unite è la seguente: «Se il giudice dell'esecuzione, in attuazione dei principi dettati dalla Corte EDU con la sentenza 17/09/2009, Scoppola c. Italia, possa sostituire la pena dell'ergastolo, inflitta all'esito del giudizio abbreviato, con la pena di anni trenta di reclusione, in tal modo modificando il giudicato con l'applicazione, nella successione di leggi intervenute in materia, di quella più favorevole».
2. Deve subito precisarsi che tale quaestio iuris non viene in rilievo nel caso in esame, caratterizzato, come meglio si chiarirà in seguito, da una situazione processuale e sostanziale ben diversa da quella del caso Scoppola c. Italia, con l'effetto che il ricorso, incentrato sostanzialmente sull'allegata violazione dei principi statuiti dalla decisione sovranazionale in tema di legalità convenzionale ex art. 7 CEDU e sull'omessa interpretazione della normativa interna in senso conforme a tali principi, deve essere rigettato.
3. E' necessario quindi premettere una breve sintesi della concreta situazione processuale, sulla quale impropriamente si è Innestata la questione di diritto rimessa all'attenzione delle Sezioni Unite
I reati addebitati ad Antonio Giannone, in quanto astrattamente punibili con la pena dell'ergastolo e dell’isolamento diurno ex art. 72 cod. pen., non potevano essere giudicati, all'epoca della loro consumazione (sino al Io giugno 1999), con il rito abbreviato, considerato che tale possibilità, pur prevista originariamente dall'art. 442, comma 2, secondo periodo, cod. proc. pen., era stata esclusa a seguito della declaratoria d'incostituzionalità - per eccesso di delega - di tale disposizione (sentenza n. 176 del 1991).
Durante la fase delle indagini preliminari, entrava in vigore - il 2 gennaio 2000 - la legge 16 dicembre 1999, n. 479, il cui art. 30, comma 1, lett. b), reintroduceva la possibilità del giudizio abbreviato per i reati punibili con l'ergastolo, stabilendo genericamente che, in caso di condanna, la pena perpetua (senza o con isolamento diurno) doveva essere sostituita con quella temporanea di anni trenta di reclusione.
Successivamente entrava in vigore il d.l. 24 novembre 2000, n. 341, il cui art. 7, nel dichiarato intento di dare una interpretazione autentica al secondo periodo del comma 2 dell'art. 442 cod. proc. pen., disponeva che l'espressione «pena dell'ergastolo» ivi adoperata doveva intendersi riferita all'ergastolo senza isolamento diurno ed inseriva all’interno della stessa disposizione un terzo periodo, secondo il quale «Alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno, in caso di concorso di reati e di reato continuato, è sostituita quella dell'ergastolo».
Quando veniva celebrata l'udienza preliminare, era già entrata in vigore quest'ultima normativa, e il Giannone, in data 19 agosto 2002, aveva avanzato richiesta di giudizio abbreviato, pervenuta al G.u.p. TU settembre successivo.
Il G.u.p. del Tribunale di Lecce, prima, e la Corte di assise di appello di Lecce, dopo, nell’infliggere ai Giannone, con le rispettive sentenze in data 20 febbraio 2003 e 31 maggio 2005, la pena dell'ergastolo, facevano applicazione della legge vigente (art. 7 d.l. n. 341 del 2000) non solo al momento di tali pronunce ma sin da quando l'interessato aveva avanzato richiesta di accesso al giudizio abbreviato.
4. Ciò posto, rileva la Corte che vi sono ragioni prioritarie, di per sé assorbenti e decisive rispetto all'iter argomentativo seguito dal giudice a quo, che rivelano l'infondatezza dell’incidente di esecuzione proposto dal ricorrente, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 619, comma 1, cod. proc. pen., la motivazione dell'ordinanza impugnata, pur rimanendone inalterato l'essenziale del contesto decisorio, va corretta nel senso di seguito precisato.
5. Nel caso in esame, infatti, non sussiste alcun problema di diritto intertemporale per individuare, con riferimento ai reati addebitati al condannato e giudicati col rito semplificato, la specie e l'entità della pena in coerenza con le regole insite nel principio di legalità convenzionale di cui all'art. 7 CEDU, così come Interpretato dalla Corte di Strasburgo con la sentenza 17/09/2009, Scoppola c. Italia, che ravvisa un nuovo profilo di tutela in tale principio: non solo la irretroattività della legge penale più severa, previsione già contenuta nell'art. 25, comma secondo, Cost., ma anche, e implicitamente, la retroattività della lex mitior, nella misura in cui va ad incidere sulla configurabilità dei reato o sulla specie e sull'entità della pena e, quindi, su diritti fondamentali della persona.
L'operatività di tali regole, però, con specifico riferimento alla disciplina del giudizio abbreviato prescelto dal ricorrente, non può essere ancorata, per individuare la disposizione che prevede la pena più mite, al mero dato formale delle diverse leggi succedutesi tra la data di commissione dei reati e la pronuncia della sentenza definitiva, ma presuppone la coordinazione di tale dato, di per sé neutro, con le modalità e con i tempi di accesso ai rito speciale, da cui direttamente deriva, in base alla legge vigente, il trattamento sanzionatorio da applicare.
In sostanza, per quanto qui interessa, non può aversi riguardo soltanto alla data di commissione dei reati e ai successivi interventi legislativi in materia di pena da infliggere in caso di giudizio abbreviato, ma tali dati fattuali e normativi, per assumere rilievo ai fini della decisione, devono necessariamente integrarsi con le peculiarità del rito speciale alternativo.
Non va sottaciuto, infatti, che gli aspetti processuali propri del giudizio abbreviato sono strettamente collegati con aspetti sostanziali, dovendosi tali ritenere quelli relativi alla diminuzione o alla sostituzione della pena, profilo questo che si risolve indiscutibilmente in un trattamento penale di favore.
A maggior chiarimento di quanto sin qui esposto, osserva la Corte che l'individuazione della pena sostitutiva da applicare, in sede di giudizio abbreviato, per i reati punibili in astratto con l'ergastolo, senza o con isolamento diurno, è, per così dire, condizionata al verificarsi di una fattispecie complessa, integrata dalla commissione di tale tipo di reati e dalla richiesta di accesso al rito speciale da parte dell'interessato, elementi questi che, in quanto inscindibilmente connessi tra loro, devono concorrere entrambi, perché possa trovare applicazione, in caso di condanna, la comminatoria punitiva prevista dalla legge In vigore al momento della richiesta.
E' tale richiesta, in definitiva, a cristallizzare, in relazione al reato o ai reati per i quali si procede, il trattamento sanzionatorio vigente al momento di essa.
6. E' agevole, quindi, concludere che correttamente il giudice della cognizione, nell'affermare la responsabilità del Giannone in relazione ai reati ascrittigli, punibili - in astratto - con l'ergastolo e l'isolamento diurno ex art. 72 cod. pen., ha inflitto al predetto la pena dell’ergastolo semplice, in applicazione dell'art. 442, comma 2, ultimo periodo, cod. proc. pen., così come introdotto dall’art. 7 d.l. n. 341 del 2000.
Quest'ultima norma, infatti, era già in vigore quando fu formulata dal Giannone la richiesta di giudizio abbreviato, alla quale, come si è precisato, deve imprescindibilmente essere collegata l'individuazione della pena da infliggere.
Né tra il momento della scelta processuale operata e la pronuncia della sentenza definitiva di condanna è intervenuto alcun mutamento legislativo più favorevole, del quale, ove fosse intervenuto, si sarebbe dovuto tenere conto. Neppure risulta essere stato violato il principio di retroattività o, meglio, di ultrattività della pregressa lex mitior. Non è stato deluso o vanificato, pertanto, il legittimo affidamento riposto dall'interessato nello svolgimento del giudizio secondo le regole previste.
In particolare, occorre rilevare che la norma penale più favorevole della quale il ricorrente sollecita l'applicazione è la così detta "legge intermedia", vale a dire l'art. 30, comma 1, lett. b), legge n. 479 del 1999, che è norma sopravvenuta più mite rispetto a quella vigente all'epoca dei fatti (quando per la categoria dei reati addebitati al Giannone non era consentito il giudizio abbreviato) e non più in vigore all'epoca della celebrazione e della conclusione del giudizio, perché sostituita dalla normativa, anch'essa meno favorevole, di cui al d.l. n. 341 dei 2000.
L'applicazione della legge intermedia più benevola è, in genere, espressamente imposta, in coerenza con l'art. 7 CEDU nella interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, dall'ordinamento interno, attraverso la regola della retroattività/ultrattività della ¡ex mitior di cui all'art. 2, comma quarto, cod. pen., che testualmente utilizza la seguente locuzione al plurale : «Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse», si applica quella più favorevole al reo, pur se abrogata o sostituita da altra meno favorevole, ovviamente con riferimento ai soli fatti commessi prima dell'entrata in vigore di quest'ultima.
L'efficacia privilegiata attribuita alla legge favorevole intermedia garantisce che l'eventuale lunghezza dei processi non vada a discapito dell’imputato, che potrebbe vedersi inflitta una condanna più severa di quella che gli sarebbe stata inflitta, se il processo fosse stato definito prima.
Tuttavia, tale regola, con riferimento al mutamento di disciplina della pena, in tanto può operare, in quanto la fattispecie complessa a cui innanzi si faceva cenno risulti essere stata integrata in tutte le sue componenti durante la vigenza della fex mitior intermedia: in particolare, l'interessato deve avere chiesto, in tale arco temporale, l'accesso al rito semplificato, evento processuale - questo - che, come si è detto, cristallizza la pena meno severa in quel momento prevista, attribuendole efficacia retroattiva rispetto alla data di consumazione del fatto- reato e ultrattiva rispetto al suo superamento ad opera della legge successiva più rigorosa.
In concreto, la più favorevole disposizione di cui all'art. 30, comma 1, lett. b), legge n. 479 del 1999 può e deve trovare applicazione soltanto per quei soggetti che, avendo commesso un reato astrattamente punibile con l'ergastolo, abbiano chiesto di accedere al rito abbreviato durante la vigenza della detta disposizione, cioè nel lasso dì tempo compreso tra il 2 gennaio e il 24 novembre 2000.
7. Alla luce di tutte le argomentazioni sin qui sviluppate, deve rilevarsi che il caso in esame è ben diverso da quello deciso con la sentenza della Corte EDU 17/09/2009, Scoppola c. Italia, in cui l'accesso al rito abbreviato era stato richiesto durante la vigenza della legge più mite n. 479 del 1999, con realizzazione della fattispecie complessa in tutte le sue componenti e conseguente diritto dell'interessato all'applicazione e all'esecuzione, in forza dell'art. 7 CEDU, della pena più favorevole di trenta anni di reclusione in luogo dell'ergastolo con Isolamento diurno, non potendo spiegare effetti la successiva modifica legislativa in senso più severo.
In relazione alla posizione del ricorrente Giannone, invece, non entra in gioco il principio della retroattività o della ultrattività in mitius, difettandone i relativi presupposti operativi.
Ed invero, i presupposti per l'individuazione della specie e dell'entità della pena da infliggere al ricorrente sono maturati soltanto nel vigore dell’art. 7 d.l. n. 341 del 2000, quando cioè, essendosi - per così dire - ormai stabilizzata la disciplina del giudizio abbreviato per i reati punibili con l'ergastolo, fu formulata richiesta di ammissione a tale rito, con la piena consapevolezza da parte dell'interessato che, in caso di condanna, la pena dell'ergastolo con isolamento diurno, edittalmente prevista, sarebbe stata sostituita, come in realtà è avvenuto, con quella dell'ergastolo semplice.
Nel caso in esame, pertanto, non si pone alcun problema di successione di leggi penali sostanziali nel tempo; non rileva stabilire se i principi dettati dalla Corte EDU con la sentenza 17/09/2009, Scoppola c. Italia, abbiano una valenza circoscritta al caso concreto esaminato o enuncino piuttosto una regola di giudizio di portata generale e astrattamente applicabile a fattispecie identiche, senza la necessità, in tali casi, di adire preventivamente la giurisdizione sovranazionale; non assumono rilievo la questione circa la dichiarata natura interpretativa del richiamato art. 7 d.l. n. 341 del 2000 e le connesse problematiche sulla retroattività in malam partem di tale norma; non è conseguentemente ravvisabile alcuna violazione del principio di legalità della pena, quale effetto della violazione dell'art. 7 CEDU, a cui rimediare, anche in sede esecutiva, per porre fine ad una situazione di perdurante illegalità, che incide direttamente su diritti fondamentali della persona.
8. A norma dell'art. 173, comma 3, disp. att. cod. proc. pen., devono essere enunciati i seguenti principi di diritto:
- «La pena da infliggere per i reati punibili astrattamente con l'ergastolo, in caso di condanna all'esito del giudizio abbreviato, è quella prevista dalla legge vigente al momento della richiesta di accesso a tale rito semplificato, con l'effetto che, ove tale scelta processuale intervenga nel vigore dell'art. 7 d.l. n. 341 del 2000, è la sanzione da tale norma prevista che deve essere legittimamente applicata ed eseguita» ;
- «Tra le diverse leggi succedutesi nel tempo, che prevedono la specie e l'entità della pena da infliggere all'imputato, in caso di condanna nell'ambito del giudizio abbreviato, per i reati astrattamente punibili con l'ergastolo, non può applicarsi la legge intermedia più favorevole, se durante la sua vigenza non sia stato chiesto l'accesso ai rito speciale, ma tale scelta processuale sia intervenuta soltanto successivamente, nel vigore della legge posteriore che modifica quella precedente».
9. Al rigetto del ricorso segue, di diritto, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

                                                                                                                P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 19 aprile 2012.