Le Sezioni unite hanno stabilito il principio di diritto secondo cui le sentenze di annullamento con rinvio in relazione alla sussitenza di una circostanza aggravante, che comportano l'irrevocabilitą della parte relativa all'affermazione di responsabilitą e quindi alla condanna, sono passibili di impugnazione per mezzo del ricorso straordinario per errore di fatto. 


RITENUTO IN FATTO
1. Paolo Brunetto propone personalmente ricorso straordinario a norma dell'art. 625-bis cod. proc. pen., avverso la sentenza n. 44493/2010 emessa il 1° dicembre 2010 dalla Sesta Sezione penale della Corte di cassazione, depositata il 17 dicembre 2010, con la quale è stata annullata la sentenza emessa nei confronti dello stesso Brunetto dalla Corte di appello di Catania il 5 marzo 2010 «limitatamente alla applicabilità della aggravante di cui all'art. 7 legge n. 203 del 1991», con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della medesima Corte di appello e rigettato il ricorso nel resto.
Preliminarmente, in punto di ammissibilità del ricorso, il ricorrente rileva come sussistano due orientamenti di giurisprudenza circa la proponibilità del ricorso straordinario nella ipotesi di annullamento con rinvio limitato a punti della decisione che non coinvolgano il giudizio sulla responsabilità.
Secondo una prima linea interpretativa, infatti, si ritiene che quando - come nella specie - l'annullamento con rinvio è disposto limitatamente alla necessità di rideterminare il trattamento sanzionatorio, non vi è dubbio che passi in giudicato il punto della affermazione di responsabilità, e quindi sussista un giudicato parziale che attribuisce la non più discutibile qualità di "condannato", nel significato - che solo rileva ai fini della proponibilità del ricorso straordinario - di persona nei cui confronti è definitiva l'affermazione di responsabilità penale per un determinato fatto reato.
Secondo, invece, altro orientamento, in caso di sentenza parziale con rinvio anche soltanto in punto di pena, non essendosi formato il giudicato, e di conseguenza non avendo l'istante ancora perso la qualifica di imputato, quest'ultimo non è legittimato a proporre ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen., neppure in forza del principio del giudicato parziale.
Sottolinea al riguardo il ricorrente come debba nella specie ritenersi preferibile il primo orientamento, non soltanto alla stregua del dato testuale offerto dall'art. 624, comma 1, cod. proc. pen., ma anche perché, dalla tesi che si contrasta deriverebbe, come assurda ed antieconomica conseguenza, che per rilevare Terrore di fatto relativo alla sentenza di annullamento con rinvio occorrerebbe attendere la sentenza della Cassazione dopo il giudizio di rinvio, con l'annullamento di quest'ultima e delle sentenze precedenti.
Ove non condivise tali considerazioni si è sollecitata la remissione della questione a queste Sezioni unite.
Quanto all'errore di fatto dedotto, il ricorrente sottolinea che la sentenza impugnata ha dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso contro la sentenza di appello, nel quale si eccepiva la inutilizzabilità degli esiti di una Intercettazione ambientale, sul rilievo che il ricorrente stesso non avrebbe «provveduto in alcun modo né alla specifica indicazione degli atti asseritamente affetti dai vizi denunciati né a curare che tali atti fossero comunque effettivamente acquisiti al fascicolo trasmesso al Giudice di legittimità». Al contrario, come emergerebbe dai motivi di ricorso - che si producono in copia legale - alla pagina 2 degli stessi, espressamente si afferma che all'atto venivano allegati in copia «il decreto e gli atti di riferimento impugnati, come esatto dalla ormai costante giurisprudenza di questa Corte». Ed a conferma di ciò - prosegue il ricorso - «dopo le prime sette pagine di ricorso sono pinzettate altre sei pagine, ed esattamente: il decreto d'intercettazione d'urgenza ritenuto affetto dal vizio dedotto (pagg. 8-9); la nota della p.g.. in esso richiamata (pagg. 10-12); il decreto di convalida del G.l.p. (pag. 13)».
Deriverebbe da ciò, dunque, che la questione sulla utilizzabilità degli esiti della intercettazione non è stata esaminata per un errore di natura percettiva, così come risulterebbe evidente la rilevanza di tale errore sul processo decisionale, risultando questo viziato «dalla omessa delibazione e decisione sulla asserita inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni», che avrebbe condotto - conclude il ricorrente - ad una decisione in ipotesi diversa da quella che si sarebbe potuta adottare ove la dedotta questione fosse stata scrutinata dalla Corte.
2. Con ordinanza del 14 giugno 2011, la Seconda sezione, cui il ricorso era stato tabellarmente assegnato, ha rimesso II ricorso stesso alle Sezioni Unite, registrando un contrasto di giurisprudenza - diffusamente passato in rassegna - sul punto già indicato dal ricorrente in ordine alia ammissibilità del ricorso straordinario, ove esso sia rivolto a censurare una sentenza della Corte di cassazione con la quale sia stata annullata una pronuncia di condanna esclusivamente con riguardo alla questione della sussistenza di una circostanza aggravante e con passaggio in giudicato della responsabilità penale in ordine ai reati contestati.
3. Il Presidente Aggiunto, con decreto in data 8 agosto 2011, ha disposto l'assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.
4. All'udienza del 27 ottobre 2011 è stata disposta l'acquisizione degli atti relativi al procedimento cui si riferisce l'odierno ricorso straordinario.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Come già puntualizzato nella narrativa in fatto, queste Sezioni Unite sono state invitate a pronunciarsi sul quesito «se possa ritenersi ammissibile la proposizione del ricorso straordinario per errore di fatto di cui all'art. 625-bis cod. proc. pen. avverso la sentenza delia Corte di cassazione che abbia pronunciato l'annullamento con rinvio soltanto in riferimento alla questione relativa alla sussistenza di una circostanza aggravante, e che, dunque, abbia determinato la irrevocabilità del giudizio in punto di sussistenza della responsabilità penale».
Al riguardo, si registra, infatti, un contrasto di giurisprudenza.
2. Secondo l'orientamento che nega la legittimazione al ricorso straordinario da parte del condannato con sentenza oggetto di annullamento parziale da parte della Corte di cassazione, viene in particolare valorizzato il rilievo - già enunciato in Sez. U, n. 16104 del 27/03/2002, De Lorenzo - per il quale, considerata la natura di rimedio straordinario che caratterizza il ricorso di cui airart. 625-bis cod. proc. pen., insuscettibile per ciò stesso di applicazione analogica, e tenuto conto del fatto che esso deroga al principio di irrevocabilità delle decisioni della Corte di cassazione, il ricorso straordinario è ammissibile soltanto contro ie sentenze di condanna. E per sentenze di condanna, vertendosi in tema di pronunce della Corte di cassazione, non possono che intendersi le sentenze che rigettano o che dichiarano inammissibili i ricorsi proposti avverso sentenze di condanna. Pertanto, come non sono suscettibili di ricorso straordinario le decisioni di legittimità emesse nell'ambito dei procedimenti incidentali, così non lo sono le decisioni di annullamento con rinvio, perché non determinano la formazione del giudicato e quindi non trasformano la condizione dell'imputato in quella di condannato, che è la sola a fungere da presupposto imprescindibile della legittimazione attiva alla impugnazione straordinaria. In merito, poi, alle decisioni di annullamento, sono impugnabili - secondo tale orientamento - soltanto quelle di annullamento parziale, ma limitatamente a quei capi della sentenza che, secondo quanto disposto dall'art. 624 cod. proc. pen., acquistano autorità di cosa giudicata perché non in connessione essenziale con i capi annullati. Per questi ultimi, invece, il ricorso straordinario può essere esperito soltanto all'esito del giudizio rescissorio, una volta che sia passata in giudicato la sentenza del giudice di merito. Una soluzione, questa, che varrebbe, eo magis, nei casi di annullamento totale, dal momento che una siffatta pronuncia travolge tutte le parti della sentenza impugnata e quindi devolve al giudizio rescissorio la intera regiudicanda, impedendo che l'imputato acquisti la qualità di condannato (Sez. 1, n. 4975 del 28/01/2004, Rauzzino, Rv 227335). Nel medesimo senso, si è anche puntualizzato che la irrevocabilità e la esecutività della sentenza, condizioni necessarie per la proponibilità del ricorso straordinario, devono riguardare il capo di imputazione nella sua interezza, e non può dirsi che si sia formato il giudicato se permane la condizione di imputato. Varrebbe quindi il principio secondo il quale non si è in presenza di una condanna allorché è stata accertata soltanto la responsabilità dell'imputato, ma non è ancora stata applicata la relativa pena (Sez. l, n, 24659 del 15/06/2007, Metelli, Rv 239463; in termini sostanzialmente analoghi, Sez. 1, n. 16692 del 28/01/2009, Mancuso, Rv 243551; Sez. 5, n. 40171 del 16/07/2009, Metelli, Rv 244613).
Più di recente, e nell'ambito dello stesso orientamento, si è ribadito che la sentenza di annullamento parziale non comporta la completa definizione del processo e quindi non vale ad attribuire la qualifica di "condannato" che, sola, legittima alla proposizione del ricorso: qualifica che, come si desumerebbe dall'intero sistema, non può che essere riconosciuta in capo a chi abbia esaurito tutti i gradi delle impugnazioni ordinarie. Nel caso di annullamento della sentenza con rinvio per uno dei capi di imputazione e per la conseguente rideterminazione del trattamento sanzionatorio complessivo, non sarebbe dunque ravvisabile lo status di "condannato"; infatti, il rinvio sul trattamento sanzionatorio coinvolgerebbe anche i capi della sentenza per i quali vi è stato il rigetto del ricorso, cosicché non sarebbe invocabile il principio del giudicato parziale, pur valido ad altri fini. Da qui, la enunciazione del principio secondo il quale in caso di sentenza parziale con rinvio anche in punto di pena, non essendosi formato il giudicato, e di conseguenza non avendo l'istante ancora perso la qualifica di imputato, quest'ultimo non è legittimato a proporre il ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen., neppure in forza del principio del giudicato parziale (Sez. 1, n. 23854 del 20/05/2010, Querci, Rv 247858).
3. In senso opposto, si è invece affermato il principio per il quale deve ritenersi legittimato a proporre ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, in qualità di soggetto "condannato", anche l'imputato nei cui confronti sia intervenuta una sentenza della Corte di cassazione di annullamento con rinvio di una sentenza di condanna, quando il rinvio riguardi soltanto il quomodo della condotta ed il quantum del conseguente trattamento sanzionatorio, avendo tale pronuncia contenuto e valenza di rigetto per quel che riguarda l'accertamento dell'an della colpevolezza (Sez. 5, n. 217 del 21/11/2007, dep. 2008, Di Caro Scorsone, Rv 239462). In altra occasione, pur ribadendosi l'assunto secondo il quale il rimedio previsto dall'art. 625-bis cod. proc. pen. non può essere attivato contro sentenze di annullamento con rinvio che non determinano la formazione della cosa giudicata e che, quindi, non trasformano la condizione giuridica dell'imputato in quella di condannato, si è tuttavia operato un distinguo tra il carattere parziale o totale dell'annullamento; nel primo caso, infatti, la formazione di un giudicato parziale rende ammissibile il ricorso straordinario limitatamente a quei capi della sentenza che, a norma dell'art. 624 cod. proc. pen., acquistano autorità di cosa giudicata, non essendo in connessione essenziale con i capi annullati; nel secondo caso, invece, rispetto ai capi investiti dall'annullamento, l'impugnazione straordinaria non può essere rivolta all'annullamento con rinvio. In tale ultima eventualità - si è osservato - la impugnazione straordinaria può ritenersi ammissibile soltanto all'esito del giudizio rescissorio, allorquando sia passata in giudicato la sentenza emessa dal giudice del rinvio, e deve poter avere ad oggetto sia la decisione con la quale la Corte rigetti o dichiari inammissibile il ricorso avverso la condanna adottata in sede di rinvio, sia la precedente sentenza di annullamento con rinvio, che all'ultima si salda ai fini della formazione del giudicato (Sez. 1, n. 17362 del 15/04/2009, Di Matteo).
Più di recente, si è ugualmente ribadito il principio secondo il quale deve ritenersi legittimato a proporre ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, in qualità di soggetto condannato, l'imputato nei cui confronti sia intervenuta una sentenza della Corte di cassazione di annullamento parziale con rinvio di una sentenza di condanna, quando il rinvio sia disposto limitatamente alla necessità di rideterminare il trattamento sanzionatorio, con la conseguente formazione di un giudicato parziale per il punto della decisione relativo a II'accerta mento della colpevolezza (Sez. 6, n. 25977 del 08/06/2010, Peverelli, Rv 248003). Sì è infatti rilevato che, quando l'annullamento con rinvio è disposto limitatamente alla necessità di rideterminare il trattamento sanzionatorio, non vi è dubbio che passi in giudicato il punto dell'affermazione della responsabilità e quindi sussiste un giudicato parziale che attribuisce la non più discutibile e rimuovibile qualità di "condannato", nel significato - che solo rileva ai fini della proponibilità del ricorso straordinario - di persona nei cui confronti è definitiva l'affermazione di responsabilità penale per un determinato fatto-reato. D'altra parte, si è pure osservato, la opposta tesi condurrebbe ad evidenti aporie di sistema, giacché, a fronte di un vizio suscettibile di essere rilevato e rimosso subito con lo strumento del ricorso straordinario, occorrerebbe invece attendere l'espletamento del giudizio di rinvio e la definizione dell'eventuale giudizio di cassazione, con i possibili ulteriori sviluppi, per poi giungere all'annullamento della originaria pronuncia rescindente, della sentenza del giudice di rinvio e di quella di cassazione sul giudizio di rinvio. Un esito, questo, evidentemente disfunzionale rispetto al parametro della durata ragionevole e della efficienza del processo.
4. Come è agevole dedurre dai principi evocati a fondamento delle contrapposte linee ermeneutiche che caratterizzano i due orientamenti di giurisprudenza che si registrano a proposito del quesito ora sottoposto a queste Sezioni unite, la individuazione del discrimen ruota tutto attorno alla insorgenza dello status di "condannato" e, dunque, al momento in cui può - agli effetti che qui interessano - dirsi intervenuto il passaggio in giudicato della sentenza di condanna.
Ebbene, a tai proposito è noto come la giurisprudenza delle Sezioni unite, sin da epoca ormai risalente, abbia avuto modo di porre in luce la circostanza che la formazione del giudicato - specie per ciò che attiene ai riflessi che ne possono scaturire sul versante delle cause estintive del reato, quale, in particolare, la prescrizione - ben possa assumere, proprio nelle ipotesi di annullamento parziale pronunciato in sede di legittimità, i connotati tipici di una fattispecie a formazione progressiva. Si è premesso, al riguardo, che il riconoscimento della autorità di cosa giudicata, enunciato, in tema di annullamento parziale, dall'art. 624 cod. proc. pen. con riferimento alle parti della sentenza che non hanno connessione essenziale con la parte annullata, non si riferisce né al giudicato cosiddetto sostanziale, né alla intrinseca idoneità della decisione ad essere posta in esecuzione, ma soltanto «all'esaurimento del potere decisorio del giudice della cognizione». Ci si muove, dunque, nell’ambito di un iter che conduce alla definizione del giudizio su di uno specifico oggetto, nel quadro di un fenomeno preclusivo che mira ad impedire che su di uno stesso tema possa intervenire una serie indeterminata di pronunce, così da assegnare i connotati della intangibilità a quella porzione di risultato raggiunta nel processo e dal processo. Il giudicato, dunque, può avere una formazione non simultanea ma progressiva e ciò può accadere sia nelle ipotesi di procedimento cumulativo, allorché nel processo confluiscano una pluralità di domande di giudizio che comportino una pluralità di regiudicande, sia quando il procedimento riguardi un solo reato attribuito ad un solo soggetto, perché anche in quest'ultimo caso la sentenza "definitiva" può essere la risultante di più decisioni, intervenute attraverso lo sviluppo progressivo dei mezzi di impugnazione. D'altra parte, è diretta conseguenza proprio della definitività della decisone della Corte di cassazione, sia pure limitata nel suo contenuto all'oggetto dell’annullamento, la circostanza che l'art. 628 cod. proc. pen. espressamente consenta la impugnabilità della sentenza del giudice di rinvio soltanto in relazione ai "punti" non decisi in sede di giudizio rescindente, proprio perché il perimetro cognitivo del giudice del rinvio è tracciato dai limiti del devoluto, senza che possano venire nuovamente in discorso le "parti" della sentenza annullata che hanno ormai assunto i connotati di intangibilità propri della cosa giudicata. La sentenza della Corte di cassazione, dunque, ove di annullamento parziale, delimita l'oggetto del giudizio di rinvio, riducendo corrispondentemente l'oggetto del processo, senza che peraltro possa cogliersi un nesso di corrispondenza biunivoca tra la eseguibilità della sentenza penale di condanna e l'autorità di cosa giudicata attribuibile ad una o più statuizioni in essa contenute, giacché la possibilità di dare attuazione alle decisioni definitive di una sentenza non va confusa con la irrevocabilità della pronuncia stessa in relazione all'iter processuale. Nel primo caso, infatti, la definitività del provvedimento, in tutte le sue componenti, va raccordata alla formazione di un vero e proprio titolo esecutivo; nel secondo caso, invece, la definitività della pronuncia consegue all'esaurimento del giudizio e prescinde dalla concreta realizzabilità della pretesa punitiva dello Stato (Sez. U, n. 373 del 23/11/1990, dep. 1991, Agnese; nonché, per le medesime conclusioni in punto di irrilevanza della prescrizione sopravvenuta alla sentenza di annullamento parziale, che abbia ad oggetto statuizioni diverse ed autonome rispetto al riconoscimento dell'esistenza del fatto-reato e della responsabilità dell'imputato, Sez. U, n. 6019 dell’11/05/1993, Ligresti, Rv 193418; Sez. U, n. 4460 del 19/01/1994, Cellerini, Rv 196886; Sez. U, n. 4904 del 26/03/1997, Attinà, Rv 207640).
D'altra parte, l’auctoritas di res iudicata che Kart. 624, comma 1, cod. proc. pen. conferisce alla parte "autonoma" della sentenza non annullata, è rimarcata dalla esigenza di pronta riconoscibilità "esterna" del formarsi del giudicato parziale, giacché il comma 2 del richiamato art. 624 del codice di rito demanda al medesimo giudice del rescindente il compito di dichiarare nello stesso dispositivo - con pronuncia di tipo essenzialmente ricognitivo - quali parti della sentenza del giudice a quo diventano irrevocabili, stabilendo, poi, meccanismi del tutto snelli quanto a formalità, per porre rimedio alla eventuale omissione di tale adempimento, evidentemente reputato di non trascurabile risalto. Al tempo stesso, e ad ulteriore conferma dello iato che separa il giudizio rescissorio dai precedenti gradi, sta la regola dettata dall'art. 627, comma 4, cod. proc. pen., in forza della quale non possono essere proposte nullità, anche assolute, o inammissibilità, verificatesi in precedenza, oltre alla già segnalata inoppugnabilità dei punti già decisi dalla Corte di cassazione.
Lo stare decisis è dunque puntualmente evocato dal sistema, secondo un modulo che rende la sentenza di merito formalmente - quanto ai profili di preclusione interni al processo - e sostanzialmente - quanto ai riverberi che ne possono scaturire sul versante del ne bis in idem - intangibile, seppure soltanto nella parte non compromessa dalla pronuncia di annullamento. In tale cornice di riferimento, quindi, come è indiscutibile il formarsi del giudicato di condanna nell'ipotesi di pluralità di regiudicande, ove l'annullamento riguardi soltanto una parte delle imputazioni, altrettanto è a dirsi per il caso in cui, divenendo irrevocabile l'affermazione della responsabilità penale in ordine ad una determinata ipotesi di reato, il giudizio debba proseguire in sede di rinvio soltanto agli effetti della determinazione del trattamento sanzionatolo, posto che i punti oggetto di annullamento non si riflettono sull'an, ma soltanto sul quantum della pena in concreto da irrogare, In tale contesto, dunque, come deve ritenersi ontologicamente venuta meno la presunzione di non colpevolezza, essendo stata quest'ultima accertata con sentenza ormai divenuta definitiva sul punto, allo stesso modo non può che inferirsene - alla stregua del medesimo parametro costituzionale, in virtù del quale tertium non datur - che risulti eo ipso trasformata la posizione dell'imputato in quella di "condannato," anche se a pena ancora da determinare in via definitiva.
Per altro verso, se è pur vero - come si è già posto in evidenza - che la giurisprudenza di questa Corte non ha mancato di sottolineare come, proprio in tema di giudicato parziale, non possa essere confusa la eseguibilità di una sentenza penale di condanna con l'autorità di cosa giudicata attribuibile ad una o più statuizioni in essa contenute, non può al tempo stesso trascurarsi di considerare che, in più occasioni, la stessa giurisprudenza ha avuto modo di affermare che, quando la decisione divenga irrevocabile in relazione alla affermazione della responsabilità e contenga già l'indicazione della pena minima che il condannato deve comunque espiare, la stessa deve essere messa in esecuzione, in quanto l'eventuale rinvio disposto dalla Corte di cassazione relativamente ad altri reati non incide sull'immediata eseguibilità delle statuizioni residue aventi propria autonomia (Sez. 5, n. 2541 del 02/07/2004, dep. 2005, Pipitone, Rv. 230891; Sez. 1, n. 2071 del 20/03/2000, Soldano, Rv. 215949; Sez. 6, n. 3216 del 20/08/1997, Maddaluno, Rv. 208873; Sez. U, n. 20 del 09/10/1996, Vitale, Rv. 206170).
La eseguibilità, anche solo teorica, della parte della sentenza non annullata, convince, dunque - anche sul piano delle garanzie di effettività e tempestività della tutela che l'istituto previsto dall'art. 625-ò/s cod. proc. pen. è chiamato ad assicurare - della immediata ricorribilità per errore di fatto della pronuncia di annullamento parziale che abbia reso intangibile il riconoscimento della responsabilità penale, proprio perché si tratta di una sentenza che, cristallizzando il giudizio di responsabilità in termini irrevocabili, muta necessariamente, come s'è già rilevato, lo status del soggetto, ormai definitivamente dichiarato colpevole e dunque non più semplicemente imputato, anche se ancora parzialmente sub iudice. Ove così non fosse, d'altra parte, sì darebbe vita ad una irragionevole disparità di trattamento, tra i condannati i cui ricorsi siano stati integralmente respinti - ammessi, quindi, a proporre ricorso straordinario immediatamente, e, pertanto, a fruire di un rimedio che può condurre alla sospensione della esecuzione - rispetto ai condannati che abbiano invece visto il loro ricorso in parte accolto con annullamento parziale della sentenza di condanna, i quali, invece, non potrebbero subito proporre ricorso straordinario, al fine di far valere l'errore del giudizio rescindente e prevenire, per questa via, la eventuale eseguibilità parziale della sentenza di condanna.
5. L'orientamento che esclude la legittimazione a proporre immediatamente ricorso straordinario nel caso di sentenza di annullamento parziale con rinvio in punto di pena - differendone la esperibilità soltanto all'esito della definizione del giudizio di rinvio e dell'eventuale ricorso per cassazione proposto avverso la relativa sentenza - non può ritenersi condivisibile, anche alla luce delle non poche aporie di sistema che da tale impostazione verrebbero a scaturire.
Al di là, infatti, della non condivisibilità, per le ragioni già esposte, del fondamento teorico su cui quell'orientamento fa leva (si afferma, infatti, che soltanto dopo l'esaurimento dei giudizio di rinvio sorgerebbe la condizione di condannato agli effetti della legittimazione a proporre ricorso straordinario) occorre subito osservare come il sistema non richiede affatto - e non sembra anzi consentire - che la sentenza del giudice di rinvio possa formare oggetto di ricorso, facendo valere un errore (ostativo) della sentenza di annullamento. Di conseguenza, la sentenza della cassazione che giudichi sulla pronuncia adottata in sede di rinvio (ipotesi, questa, per di più eventuale) non è contaminata da alcun tipo di vizio, posto che l'errore di fatto ha inciso esclusivamente sulla originaria pronuncia rescindente, nella parte in cui - per stare al caso che qui interessa - non ha annullato la sentenza di condanna del giudice di merito.
D'altra parte, la natura di rimedio straordinario che caratterizza il ricorso ex art. 625-bis cod. proc. pen., e l'esigenza di evitare che la sentenza di condanna irrevocabile possa essere esposta, per un tempo potenzialmente indefinito, alla situazione di pur relativa instabilità determinata dalla eventuale proposizione della procedura straordinaria che viene qui in discorso, hanno indotto la giurisprudenza di questa Corte a qualificare come perentorio il termine di 180 giorni entro il quale può essere presentato il ricorso per errore materiale o di fatto (Sez. 4, n. 15717 del 07/03/2008, Spagnuolo, Rv. 239813; Sez. 5, n. 37814 del 27/05/2009, Nunziata, Rv. 245131). Il che, nella maggior parte dei casi, di fatto precluderebbe, ratione temporis, la proponibilità del ricorso straordinario dopo il giudizio di rinvio e l'eventuale ricorso per cassazione, posto che il dies a quo, in mancanza di diversa previsione normativa, resa indispensabile dalla eccezionalità dell'istituto, non potrebbe che decorrere dal deposito della sentenza della Corte di cassazione adottata in occasione del giudizio rescindente.
Per altro verso, all’accoglimento della soluzione qui additata non può far velo la mancata previsione di una disciplina che espressamente raccordi e coordini fra loro la eventuale immediata proposizione del ricorso straordinario con l'autonomo - ma pregiudicabile - iter del giudizio di rinvio, posto che, assai opportunamente, il legislatore ha tracciato, in termini di ampia snellezza di forme, tanto i possibili interventi di carattere sospensivo, che l'esito decisorio, nel quale il giudice del ricorso straordinario è chiamato, in caso di accoglimento della richiesta, ad adottare «i provvedimenti necessari per correggere Terrore». Pertanto, ove, in ipotesi di annullamento parziale, si sia verificato nel giudizio rescindente un errore materiale o di fatto che pregiudichi la parte della sentenza di condanna che assume autorità di giudicato, la proposizione del ricorso straordinario che non sia ritenuto inammissibile, può comportare l'adozione di una ordinanza che, non soltanto determini la sospensione degli «effetti del provvedimento» che scaturiscono dalla pronuncia viziata (art. 625-bis, comma 2), ma anche la sospensione del giudizio di rinvio, ad evitare la prosecuzione di un giudizio che, in linea teorica, può essere integralmente posto nel nulla dalla decisione sul ricorso straordinario (si pensi alla eventualità di un errore che si riferisca ad un vizio che a sua volta determini l'integrale caducazione della sentenza di condanna). Allo stesso modo, ove il ricorso straordinario sia fondato, ma non ne derivino conseguenze sul piano della correttezza del decisum e, dunque, degli esiti del giudizio di rinvio, sarà la stessa Corte ad adottare i provvedimenti del caso, per correggere l'errore, senza in alcun modo compromettere l'ulteriore iter del procedimento.
Sotto altro profilo, poi, pur non ignorandosi l'esistenza di arresti in senso opposto (Sez. 6, n, 20093 del 24/10/2002, dep. 2003, Laurendi, Rv. 225247), deve essere qui condivisa la tesi secondo la quale nel procedimento di cui all'art. 625-bis cod. proc. pen., ancorché risultino concettualmente distinguibili i due momenti - rescindente e rescissorio - in cui si articola la decisione in caso di accoglimento del ricorso straordinario, la definizione della procedura non deve necessariamente articolarsi nelle due distinte fasi della immediata caducazione del provvedimento viziato e della successiva udienza per la celebrazione del rinnovato giudizio sul precedente ricorso per cassazione, dal momento che essa ben può avvenire - sempre che il ricorrente sia stato concretamente posto in condizione di interloquire sul merito del ricorso straordinario e sulle relative conseguenze in punto di eventuale "riesame" del ricorso a suo tempo proposto - con l'immediata pronuncia della decisione che, se è di accoglimento del ricorso e della originaria doglianza indebitamente pretermessa, non rappresenta una semplice correzione di quella precedente, ma la può sostituire in toto (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile; Sez. U., n. 16104 del 27/03/2002, De Lorenzo; Sez. 6, n. 9926 del 12/01/2012, Rizzato, Rv. 252257).
Dunque, adita a seguito di ricorso straordinario, la Corte di cassazione può, nel medesimo contesto procedimentale, delibare la fondatezza del ricorso, esaminare il merito che scaturisce dall'errore riscontrato ed adottare i conseguenti provvedimenti, che potranno essere di tipo demolitorio, sostitutivo o integrativo del precedente decisum, con i corrispondenti riverberi che da ciò scaturiranno sul piano della conferma o dell'annullamento della sentenza di condanna, oggetto della pronuncia viziata.
Può quindi conclusivamente affermarsi il principio per il quale «deve ritenersi legittimata alla proposizione dei ricorso straordinario per errore materiale o di fatto anche la persona condannata con sentenza annullata con rinvio in relazione alla sussistenza di una circostanza aggravante».
6. Nella vicenda qui in esame, deve riconoscersi che, alla luce degli atti acquisiti, l'errore denunciato dal ricorrente in effetti sussiste.
Contrariamente a quanto affermato nella sentenza di questa Corte del Io dicembre 2010, ove le censure relative alla inutilizzabilità delle intercettazioni sono state dichiarate inammissibili in quanto, in contrasto col principio di cosiddetta autosufficienza del ricorso, non sarebbero stati allegati al ricorso (o fatta indicazione della loro collocazione in atti) i decreti delle intercettazioni affetti dal vizio denunciato, il ricorrente non soltanto aveva puntualizzato la allegazione di tali atti nel corpo del ricorso, ma aveva concretamente provveduto alla relativa allegazione, come emerge dagli stessi "fascicoletti" formati a norma dell'art.164, comma 4, disp. att. cod. proc. pen. Si tratta, quindi, di un errore di tipo chiaramente percettivo che, come tale, legittima alla proposizione del ricorso ex art. 625-bis cod. proc. pen.
Anche di recente, infatti, queste Sezioni unite hanno avuto modo di ribadire che l'errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del ricorso straordinario, consiste in un errore di tipo percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall'influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dalla inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso. Viceversa, qualora la causa dell'errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviante rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio straordinario (Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, Corsini).
Nel caso in esame, come si è già rilevato, l'errore, consistito nella inesatta percezione della realtà processuale consacrata negli atti, ha indotto la Corte a formulare una erronea dichiarazione di inammissibilità del motivo di ricorso vertente sulla utilizzabilità delle intercettazioni, precludendo, dunque, la disamina nel merito delle censure proposte nell'originario ricorso per cassazione, che ora deve formare oggetto di apposito scrutinio, in accoglimento, appunto, del proposto ricorso straordinario.
7. Il motivo di ricorso indebitamente pretermesso dalla sentenza qui censurata, ha riguardato la pretesa inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni tra presenti, dedotta sotto il profilo della asserita inadeguatezza delle risposte fornite dalla Corte territoriale alle censure già devolute nei motivi di appello. Censure in particolare riguardanti una specifica operazione di intercettazione, in ordine alla quale si lamentava che fra i reati per i quali si procedeva non era compreso quello di associazione di tipo mafioso, come sarebbe testimoniato dalla circostanza che la durata delle operazioni di ascolto era stata fissata in giorni quindici e non in giorni quaranta, come previsto dalla normativa speciale dettata dall'art. 13 del d.l. n. 152 del 1991. Pertanto, deduceva il ricorrente, le operazioni di intercettazione dovevano essere disposte secondo i parametri ordinari della gravità, e non soltanto della sufficienza, degli indizi di reato, ed in presenza dell’ulteriore requisito della assoluta indispensabilità, e non della sola necessità, dì tale mezzo di ricerca della prova. Risulterebbe dunque carente la motivazione su tali punti nel provvedimento di urgenza del pubblico ministero, così come inadeguata sarebbe la motivazione - nel medesimo provvedimento - circa la sussistenza delle eccezionali ragioni di urgenza per il ricorso ad apparecchiature diverse da quelle esistenti presso la procura della Repubblica.
Si tratta, però, di censure prive di fondamento ed alle quali la Corte territoriale aveva già fornito ampia ed esauriente replica, su ciascuno dei punti oggetto di contestazione.
7.1. A proposito, infatti, del titolo di reato in forza del quale la intercettazione è stata disposta, occorre subito rilevare come, al di là del formale nomen iuris sulla cui base la intercettazione venne autorizzata, assume risalto specifico - nel quadro delle garanzie, anche dì rango costituzionale, cui è subordinato l’uso delle intercettazioni e delle modalità che devono assistere l'impiego dello strumento captativo delle comunicazioni - il concreto oggetto della investigazione, posto che la fluidità stessa che caratterizza il tema dell'indagine, mal tollererebbe la cristallizzazione in dati esclusivamente formali, che non si saldino agli obiettivi concretamente perseguiti attraverso quello specifico strumento, ebbene, nel caso di specie, non soltanto il provvedimento del Pubblico ministero enuncia espressamente il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen., accanto al delitto di estorsione, come figure di reato verso le quali risulta orientata ('esigenza investigativa per la quale sono disposte le operazioni di intercettazione, ma, del contesto di criminalità organizzata in cui la vicenda estorsiva indagata si inseriva, v'è traccia corposa tanto nella informativa di polizia giudiziaria con la quale la intercettazione veniva richiesta - ove si fa riferimento al legame di interessi illeciti tra i protagonisti della vicenda ed il clan mafioso facente capo allo stesso Brunetto - quanto nel provvedimento del pubblico ministero, il quale ha integralmente recepito quegli elementi di valutazione.
Per altro verso, la circostanza che il Brunetto sia stato poi condannato per estorsione aggravata a norma dell'art. 7 del d.l. n. 152 del 1991 - anche se, proprio in riferimento a tale circostanza, questa Corte ha poi pronunciato l'annullamento con rinvio - denota come la intercettazione potesse essere autorizzata secondo le previsioni dettate dall'art. 13 del citato d.l. n. 152 del 1991, e, dunque, in presenza dei presupposti speciali ivi previsti. Che, poi, la intercettazione sia stata disposta per un periodo inferiore a quello massimo consentito, è dato del tutto inconferente, sia perché nulla impone che la intercettazione sia autorizzata per la durata massima - nella specie, per di più, si trattava della intercettazione di conversazioni che si dovevano svolgere nel corso di un tragitto su una vettura - sia perché la natura delle intercettazioni (ordinarie o speciali, a norma dell'art. 13 del d.l. n. 152 del 1991) va riguardata - come si è già osservato - in funzione di quelle che sono le concrete finalità investigative perseguite (riconducibilità o meno ad un contesto di criminalità organizzata), piuttosto che in ragione della semplice, formale enunciazione di un determinato titolo di reato.
In tale quadro di riferimento risultano quindi prive di consistenza le censure relative ai pretesi vizi di motivazione che avrebbero infirmato il provvedimento del pubblico ministero, sia sotto il profilo della gravità indiziaria che sul versante della indispensabilità del mezzo ai fini della prosecuzione delle indagini. Il tutto non senza sottolineare come, su entrambi i presupposti, il provvedimento in questione risulti più che congruamente motivato, per un verso, attraverso il richiamo - contenutisticamente sintetizzato - alla ampia e puntuale richiesta formulata dalla polizia giudiziaria, ove l’iter delle acquisizioni investigative è stato analiticamente descritto, esibendo una soglia indiziaria di sicura gravità; e, sotto altro profilo, attraverso la enucleazione delle gravi ragioni per le quali la intercettazione si rivelava al tempo stesso indispensabile a fini investigativi e assolutamente urgente in relazione alla specifica emergenza rappresentata dalla polizia giudiziaria (ritenuta probabilità che le persone coinvolte, durante il tragitto di ritorno, dopo essere state rilasciate, commentassero, all'interno della autovettura ove doveva essere effettuata la intercettazione, i motivi che avevano determinato la loro permanenza in questura e, dunque, i fatti per i quali era in corso il procedimento).
7.2. Del pari inconsistenti si rivelano le doglianze che il ricorrente muove in ordine ai pretesi vizi di motivazione che riguarderebbero i presupposti per la effettuazione delle operazioni di intercettazione extra moenia, utilizzando impianti diversi da quelli esistenti presso la procura della Repubblica. In proposito, va infatti rammentato come l'origine della peculiare disciplina dettata dall’art. 268, comma 3, cod. proc. pen., debba essere rinvenuta nel principio, enunciato dalla Corte costituzionale nella vigenza del codice di procedura penale del 1930, secondo il quale devono essere ricondotte nel perimetro della previsione dettata dall'art.15 Cost., anche le garanzie di ordine più propriamente tecnico, concernenti la predisposizione di servizi tali da consentire alla autorità giudiziaria, «anche di fatto il controllo necessario ad assicurare che si proceda alle intercettazioni autorizzate, solo a queste e solo nei limiti dell’autorizzazione», auspicandosi, a tal proposito, che il legislatore dettasse le previsioni occorrenti al tal fine (Corte cost., sentenza n. 34 del 1973). A seguito di tale ormai risalente pronuncia, il legislatore, come è noto, stabilì dapprima che le intercettazioni dovessero effettuarsi esclusivamente mediante impianti installati nelle procure della Repubblica, salva la facoltà di utilizzare, in via transitoria, gli impianti di pubblico servizio, fin quando gli uffici giudiziari non si fossero attrezzati alla bisogna (art. 226-quater, primo comma, cod. proc. pen. 1930, aggiunto dall'art. 5 della legge 8 aprile 1974, n. 98). Successivamente, e considerata la perdurante insufficienza degli impianti installati presso le procure, venne introdotta la possibilità di utilizzare, ma solo "per ragioni di urgenza", anche gli "impianti in dotazione agli uffici di polizia giudiziaria" (nuovo secondo comma del citato art. 226-quater, come sostituito dall'art. 8 del decreto-legge 21 marzo 1978, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 maggio 1978, n. 191). Da qui, il permanere della regola anche nel nuovo codice, con la previsione della possibilità di utilizzare impianti esterni in caso di "eccezionali ragioni di urgenza" e del concorrente requisito della insufficienza o inidoneità degli impianti di procura, con il corrispondente obbligo di motivazione del provvedimento da parte del pubblico ministero.
Si tratta, quindi, come è evidente, di una disciplina che, originata da esigenze di garanzia fortemente avvertite all'epoca della decisione della Corte costituzionale del 1973, risulta ormai - come da più parti rilevato - non poco svilita nella sua ratio essendi, in considerazione dei profondi mutamenti che sul piano tecnico hanno subito le telecomunicazioni e, con essi, il tema delle intercettazioni e del relativo controllo sul piano tecnico-operativo: il che, peraltro, se può aver indotto taluno a formulare perplessità sul piano della attuale coerenza e funzionalità della disciplina, non determina conseguenze sul versante della relativa legittimità costituzionale, posto che - come ha puntualmente rilevato in più occasioni il Giudice delle leggi - «non è evidentemente compito della Corte "inseguire" il progresso tecnologico, valutando se esso renda necessario od opportuno un adeguamento, o addirittura il superamento delle originarie regole di cautela: trattandosi, al contrario, di valutazione istituzionalmente rimessa ai legislatore» (v. Corte cost., ord. n. 443 del 2004; nonché ordd. n. 248 e 209 del 2004 e n. 259 del 2001).
Ebbene, in tema di utilizzazione di impianti esterni, la giurisprudenza di questa Corte ha in varie occasioni avuto modo di puntualizzare che, in ordine al profilo relativo alla insufficienza o inidoneità degli impianti esistenti presso la procura della Repubblica, le eccezionali ragioni di urgenza che autorizzano il pubblico ministero a disporre il compimento delle operazioni mediante impianti esterni, si riferiscono alla ipotesi in cui gli impianti esistenti presso la procura siano insufficienti, potendosi ritenere che, trascorso un ragionevole periodo di tempo, l'intercettazione autorizzata possa essere eseguita: il presupposto della urgenza risulterebbe invece incoerente nella ipotesi di impianti inidonei, dal momento che il ricorso ad uno strumento di ricerca della prova non può essere condizionato dal tempo necessario all'ufficio giudiziario per dotarsi di attrezzature più moderne ed efficaci (Sez. 5, n. 43464 del 09/05/2002, Pinto, Rv. 223547). D'altra parte, si è pure puntualizzato, l'utilizzazione di impianti esterni, tenuto conto della lettera e dello spirito della norma, è legittima tanto in caso di insufficienza dell'impianto quanto in quello di una sua inidoneità tecnica, intendendosi per impianto inidoneo, sia quello che risulti materialmente non operativo, sia l'impianto che risulti funzionalmente inidoneo, perché non adatto al raggiungimento degli scopi che la intercettazione mira a perseguire, in relazione al reato per cui si procede ed alla tipologia della indagine necessaria per il suo accertamento (fra le tante, cfr. Sez. 1, n. 27307 del 24/06/2003, Di Matteo, Rv 225260; Sez. 4, n. 38018 del 19/10/2006, De Carolis, Rv. 235043; Sez. 6, n. 47335 del 24/11/2009, Bianco, Rv. 245489; Sez. 6, n. 17231 del 14/04/2010, Hosa, Rv. 247010 ).
Da ciò, gli inevitabili riflessi che ne scaturiscono sul versante della motivazione del provvedimento del pubblico ministero. Va infatti ribadito, in linea generale, che l'obbligo di motivazione circa l'impiego di impianti extra moenia non può dirsi assolto col semplice riferimento alla "insufficienza o inidoneità" degli impianti stessi, trattandosi di enunciato che si limita a ripetere il conclusivo giudizio racchiuso nella formula di legge, ma richiede la specificazione delle ragioni di tale carenza che in concreto depongono per la ritenuta "insufficienza o inidoneità." L'adempimento dell'obbligo di motivazione implica dunque, per il caso, peraltro, di inidoneità cosiddetta funzionale degli impianti della procura, che sia data contezza, seppure senza particolari locuzioni o approfondimenti, delle ragioni che li rendono concretamente inadeguati al raggiungimento dello scopo, in relazione al reato per cui si procede ed al tipo di indagini necessarie (Sez. U, n. 30347 del 12/07/2007, Aguneche; Sez. U, n. 919 del 26/11/2003, dep, 2004, Gatto, ove si è ritenuto correttamente motivato - proprio come nella presente vicenda - il decreto del pubblico ministero recante l'espressione "attesa l'indisponibilità di linee presso la procura", che, non ripetendo la formula legislativa, consentiva di identificare il fatto che aveva determinato la insufficienza degli impianti, offrendo così al giudice e alle parti uno strumento di controllo della correttezza dell'operato del pubblico ministero).
A proposito, poi, delle eccezionali ragioni di urgenza richieste per l'esecuzione delle operazioni mediante l'impiego di apparecchiature diverse da quelle installate presso gli uffici della procura, si è più volte affermato che la sussistenza di tale requisito può essere anche implicita, quando si faccia riferimento ad una attività criminosa in corso, quale quella relativa a reati di criminalità organizzata, per loro natura permanenti (Sez. 2, n. 5103 del 17/12/2009, dep. 2010, Cannizzaro, Rv. 246453; Sez. 6, n. 15396 dell'11/12/2007, dep. 2008, Sitzia, Rv. 239633; Sez. 1, n. 11525 del 03/02/2005, Gallace, Rv. 232262). Per altro verso, pur apparendo i requisiti di urgenza dì cui all'art. 267, comma 2,cod. proc. pen. non coincidenti con quelli della assoluta urgenza di cui all'art. 268, comma 3, dello stesso codice, trattandosi di presupposti eterogenei, strutturalmente e funzionalmente diversificati - l'uno correlato al potere interinale del pubblico ministero di autorizzazione della intercettazione; l'altro connesso alla esecuzione delle intercettazioni con impianti esterni alla procura - è ben possibile che la motivazione dell'un profilo assorba quella dell'altro, ove le ragioni addotte ai fini dell'esigenza di attivare immediatamente le operazioni di intercettazione appaiano incompatibili sia con la normale procedura di richiesta di autorizzazione al giudice, stabilita in via ordinaria dall'art. 267, comma 1, cod. proc. pen., sia con l'attesa del realizzarsi di una condizione di sufficienza o idoneità degli impianti installati presso la procura della Repubblica (ex plurimis, Sez. 5, n. 16285 del 16/03/2010, Baldisin, Rv. 247268; Sez, 6, n. 35930 del 16/07/2009, Iaria, Rv. 244872; Sez. 6 n. 32469 del 19/05/2005, Roveto, Rv. 232220).
8. Ebbene, alla stregua dei richiamati principi, ii decreto di intercettazione che il ricorrente censura si sottrae a qualsiasi rilievo, anche sul piano meramente formale: in esso, infatti, il pubblico ministero, non soltanto ha espressamente dato atto della indisponibilità di postazioni presso la sala ascolto della locale Procura della Repubblica, ma ha anche puntualmente enunciato le specifiche ragioni di urgenza - nella specie attestanti una situazione di assoluta indifferibilità - connesse al fatto che la captazione delle conversazioni doveva avvenire, come si è già fatto cenno, in occasione del tragitto di ritorno dopo una audizione in questura e per acquisire i relativi commenti dai protagonisti, nel quadro di una indagine per fatti di estorsione inquadrati nell’ambito di vicende di criminalità organizzata. Una motivazione, dunque, più che adeguata su tutti i requisiti di legittimità del provvedimento e, come tale, integralmente satisfattiva ai fini della verifica della regolarità delle operazioni di intercettazione.
9. Da tutto ciò consegue che, pur risultando fondato il ricorso straordinario, l'errore in cui è incorsa questa Corte non incide sul dispositivo della sentenza censurata, ma soltanto sulla relativa motivazione, che deve intendersi conseguentemente rettificata nei sensi dianzi esposti.
                                                                                                         P.Q.M.
Pronunziando sul ricorso straordinario avverso la sentenza della Cassazione n. 44493/10 del 1° dicembre 2010, dà atto della sussistenza dell'errore di fatto denunziato e, per il resto, conferma il dispositivo della sentenza impugnata, previa rettifica della sua motivazione.
Così deciso il 21/06/2012