Le Sezioni Unite penali, a risoluzione di un contrasto, hanno affermato che il giudice di appello non incorre nella violazione del divieto di “reformatio in peius” nel caso in cui, avendo escluso una circostanza aggravante o riconosciuto una ulteriore circostanza attenuante in accoglimento dei motivi proposti dall’imputato, confermi la pena applicata in primo grado e ribadisca il giudizio di equivalenza tra le circostanze, purchè quest’ultimo sia sorretto da adeguata motivazione. dal 11.09.2013 al ..


RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 7 novembre 2008 il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Avezzano ha condannato Fabio Papola, riconosciute in suo favore le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alla circostanza aggravante dell'ingente quantitativo ed alla contestata recidiva infraquinquennale, alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 30.000 di multa, quale responsabile del reato di detenzione a fine di spaccio di grammi 326,659 di cocaina (idonea al confezionamento di 1.274 dosi medie).
2. A seguito dell'appello proposto dal solo imputato, che lamentava l'erronea applicazione dell'aggravante di cui all'art 80, comma 2, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e chiedeva la riduzione della pena previo giudizio di prevalenza delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche, la Corte di appello dell'Aquila, con sentenza del 15 ottobre 2010, pur esclusa - così come richiesto dall'appellante - la ricorrenza nella specie della circostanza aggravante dell'ingente quantitativo, ha confermato la pena irrogata in primo grado, parimenti pervenendo ad un giudizio di equivalenza fra le residue circostanze (circostanze attenuanti generiche e recidiva infraquinquennale).
3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del proprio difensore, deducendo: inosservanza dell'art. 597 cod. proc. pen., comportando necessariamente l'esclusione della circostanza aggravante dell'ingente quantità la modifica, nel senso della prevalenza, del giudizio di comparazione fra le circostanze; vizio di motivazione in ordine all'applicazione della recidiva e al rilievo assegnatole; inosservanza dell'art. 192, comma 2, cod. proc. pen., essendo stata la valutazione del collegamento con ambienti criminali fondata apoditticamente sul mero dato quantitativo della sostanza stupefacente detenuta.
4. Con ordinanza del 24 gennaio 2013 la Sesta sezione penale, alla quale il procedimento era stato assegnato, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite rilevando come sulla questione dedotta con il primo motivo - di natura pregiudiziale - sussistesse un contrasto giurisprudenziale.
4.1. Secondo un primo orientamento, in caso di impugnazione del solo imputato, la conferma del trattamento sanzionatorio da parte del giudice di appello (in particolare la conferma dell'esito del giudizio di comparazione delle circostanze formulato dal giudice di primo grado), pur dopo l'esclusione di una circostanza aggravante, non violerebbe il divieto di reformatio in peius e, quindi, non integrerebbe di per sé una violazione di legge processuale ma rimarrebbe soggetta alla sola verifica di adeguatezza della relativa motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
4.2. Secondo altro orientamento, di contro, il giudice di appello che, a seguito dell'esclusione di una circostanza aggravante, riformuli il giudizio di comparazione sarebbe vincolato ad un esito più favorevole per l'imputato, incorrendo altrimenti in una violazione del divieto di reformatio in peius.
5. Con decreto del 22 febbraio 2013 il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite per la risoluzione della questione controversa, così come prospettata nell'ordinanza di rimessione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La questione per la quale il ricorso è stato assegnato alle Sezioni Unite può essere sintetizzata nel modo che segue: «se il giudice di appello, dopo avere escluso una circostanza aggravante in accoglimento del motivo proposto dall'imputato, possa confermare la pena applicata in primo grado ribadendo il giudizio di equivalenza fra le residue circostanze».
In proposito, così come osservato nell'ordinanza di rimessione, sussiste un contrasto giurisprudenziale; e ciò pur dopo alcuni interventi delle Sezioni Unite specificamente dedicati a fissare il perimetro del divieto di reformatio in peius, tematica strettamente connessa, unitamente a quella relativa all'ambito della cognizione del giudice di appello, con la questione qui sottoposta.
2. Deve da subito rilevarsi, peraltro, come in realtà non sussista più alcun contrasto giurisprudenziale in ordine al fatto che il divieto di reformatio in peius debba riguardare non solo il risultato sanzionatorio finale ma anche tutti gli elementi del calcolo, essendosi più volte ribadito nelle sentenze emesse dalle sezioni semplici della Corte di cassazione (adeguatesi ai principi espressi dalle Sezioni Unite) che la obbligatoria diminuzione della pena complessiva, in conseguenza dell'accoglimento dell'impugnazione proposta dal solo imputato, comporta che la riduzione dell'entità di uno degli elementi costitutivi del trattamento sanzionatorio non può essere in alcun modo compensata da un aumento della misura di altro elemento (unica sentenza dissonante è quella emessa da Sez. 3, n. 25606 del 24/03/2010, Capolino). Ed infatti già con la pronuncia n. 5987 del 12/05/1995, Pellizzoni, Rv. 201034, le Sezioni Unite, nel ricostruire i rapporti tra i commi 3 e 4 dell'art. 597 cod. proc. pen., hanno stabilito che, pur regolando aspetti diversi del giudizio di appello, le due disposizioni interagiscono, aggiungendosi al generale divieto della reformatio in peius stabilito dal comma 3 il dovere altresì per il giudice, nei casi previsti dal comma 4, di diminuire la pena complessiva irrogata in misura corrispondente all'accoglimento della impugnazione; e ciò «anche quando, oltre all'imputato, è appellante il pubblico ministero, la cui impugnazione può avere effetti di aumento sugli elementi della pena ai quali si riferisce ma non impedire le diminuzioni corrispondenti all'accoglimento dei motivi dell'imputato relativi a reati concorrenti o a circostanze».
I principi affermati da tale sentenza sono stati riaffermati dalla sentenza n. 40910 del 27/09/2005, Morales, Rv. 232066, con la quale le Sezioni Unite, nuovamente intervenendo per risolvere il contrasto interpretativo mai sopitosi, hanno ribadito in maniera esplicita (anche alla luce della Relazione preliminare al vigente codice) come nel giudizio di appello il divieto della reformatio in peius della sentenza impugnata dal solo imputato non riguardi solo l'entità della pena complessiva ma tutti gli elementi autonomi che concorrono a determinarla, fra essi compresi «sia gli aumenti o le diminuzioni apportati alla pena-base per le circostanze, che l'aumento conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione».
3. Permane, di contro, un contrasto in relazione all'obbligo o meno di rivedere in senso favorevole all'imputato il giudizio di comparazione espresso dal primo giudice allorquando, in accoglimento dell'impugnazione dell'imputato, venga esclusa una delle circostanze aggravanti o riconosciuta altra circostanza attenuante.
3.1. Secondo un orientamento interpretativo, la conferma da parte del giudice dell'impugnazione dell'esito del precedente giudizio di comparazione tra le circostanze, pur dopo l'esclusione di una circostanza aggravante o il riconoscimento di una ulteriore circostanza attenuante, non violerebbe i principi posti dai commi 3 e 4 dell'art. 597 cod. proc. pen., essendo tale conferma soggetta alla sola verifica di adeguatezza della motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
In tal senso hanno argomentato, in ordine cronologico, sia pure con alcune differenze motivazionali, le sentenze Sez. 1, n. 5697 del 28/01/2003, Giulio, Rv. 223442; Sez. 2, n. 42354 del 23/09/2005, Battaglia, Rv. 232742; Sez. 5, n. 13252 del 13/01/2006, Mollicone, Rv. 233981; Sez. 2, n. 47483 del 19/12/2007, D'Angelo, Rv. 239325; Sez. 6, n. 13870 del 16/02/2010, Squillaci, Rv. 246685; Sez. 4, n. 41566 del 27/10/2010, Tantucci, Rv. 248457; Sez. 6, n. 41220 del 03/10/2012, Caravelli, Rv. 254261; Sez. 5, n. 10176 del 17/01/2013, Andries, Rv. 254262; le quali sono tutte giunte alla conclusione che, qualora alla esclusione di una circostanza aggravante od al riconoscimento di una ulteriore circostanza attenuante consegua la necessità di un rinnovato giudizio comparativo tra circostanze, il giudice dell'impugnazione conserva piena facoltà di conferma del precedente giudizio di valenza, il cui esercizio è insindacabile in cassazione se congruamente motivato.
3.2. Secondo altro orientamento interpretativo, invece, il divieto di reformatio in peius, così come interpretato alla stregua dei principi fissati da Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005, Morales, Rv. 232066, imporrebbe al giudice dell'impugnazione, in caso di esclusione di una circostanza aggravante o di riconoscimento di una ulteriore circostanza attenuante, di necessariamente rivedere il giudizio di comparazione in senso favorevole all'imputato.
In tal senso hanno argomentato, , in ordine cronologico, pur esse con alcune differenze motivazionali, le sentenze Sez. 4, n. 2432 del 20/02/1997, Zahirovic, Rv. 207571; Sez. 5, n. 9250 del 28/07/1998, Floris, Rv. 211819; Sez. 5, n. 25905 del 03/06/2002, Di Maggio, Rv. 222066; Sez. 1, n. 24895 del 28/05/2009, Calabrese, Rv. 243806; Sez. 3, n. 40007 del 22/09/2011, Iqbal, Rv. 251471; le quali hanno tutte messo in relazione con il tema del giudizio di bilanciamento il principio di diritto affermato dalla citata sentenza Sez. U, Morales, per il quale il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dal solo imputato riguarda non solo il risultato sanzionatorio finale ma anche tutti gli elementi del calcolo.
4. La questione di diritto qui rimessa a seguito del rilevato contrasto giurisprudenziale appare, come già posto in evidenza anche dalle pronunzie sopra indicate, strettamente connessa con le tematiche, più volte oggetto di elaborazione giurisprudenziale e dottrinale, dell'ambito della cognizione del giudice di appello ai sensi dell'art. 597 cod. proc. pen. e della corretta interpretazione del divieto di reformatio in peius previsto dai commi 3 e 4 del medesimo articolo, allorquando impugnante sia il solo imputato.
E dunque, senza volere qui ulteriormente approfondire quanto si è più volte ed in varie sedi argomentato in punto di "effetto devolutivo dell'appello" nonché in punto di "fondamento", "natura" e "presupposti" del divieto di reformatio in peius, deve al proposito sottolinearsi - ai fini della risoluzione della questione rimessa - che, con la norma citata, il legislatore da un lato ha inteso, in via generale, limitare la cognizione del giudice di appello ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti (comma 1); dall'altro ha imposto, in caso di impugnazione proposta dal solo imputato, il divieto di reformatio in peius (commi 3-4); da altro lato, ancora, ha introdotto alcune eccezioni al ristretto ambito di cognizione del giudice di appello quale previsto in via generale (comma 5).
Più in particolare, tenuta presente la correlazione - già sottolineata dalla citata sentenza Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005, Morales, Rv. 232066- tra effetto devolutivo dell'appello e divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dal solo imputato, va rilevato:
- che alla limitazione della cognizione del giudice di appello «ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti» consegue necessariamente l'accoglimento o la reiezione in tutto od in parte dei suddetti motivi che, a loro volta, sono strettamente collegati alle richieste, sicché, pur quando in accoglimento del gravame proposto dal solo imputato si irroga una pena inferiore a quella inflitta nel precedente grado di giudizio, è precluso al giudice di appello mutare in peius l'entità degli elementi autonomi che concorrono a determinare la pena (cfr. sent. Sez. U, Morales);
- che il limitato ambito della cognizione attribuita al giudice dell'appello è suscettibile di ampliamento solo nei casi previsti dal comma 5 dell'art. 597 cod. proc. pen., che consente l'applicazione di ufficio sia dei benefici di legge ai sensi degli artt. 163 e 175 cod. pen. sia di una o più circostanze attenuanti, e che contempla, con tutta evidenza, disposizioni di eccezione rispetto alla regola dell'effetto parzialmente devolutivo posta dal comma 1 dello stesso articolo;
- che, proprio in ragione del carattere eccezionale della disposizione e della conseguente impossibilità di interpretare estensivamente i poteri di cognizione attribuiti in deroga al giudice di appello, l'ulteriore potere di effettuare "altresì" il giudizio di comparazione "quando occorre", pure previsto dal comma 5 dell'art. 597 cod. proc. pen., é subordinato all'applicazione di ufficio di circostanze attenuanti (cfr. Sez. U, n. 7346 del 16/03/1994, Magotti, Rv. 197700), ferma restando, naturalmente, la necessità di reiterazione del giudizio di bilanciamento tra le circostanze allorquando ciò sia imposto dall'accoglimento totale o parziale dell'impugnazione della parte e costituisca, quindi, conseguenza dell'effetto parzialmente devolutivo normativamente previsto in via generale.
5. Tutto ciò premesso, ritiene il Collegio di dover aderire all'indirizzo interpretativo secondo il quale la conferma da parte del giudice dell'impugnazione dell'esito del precedente giudizio di comparazione tra le circostanze, pur dopo l'esclusione di una circostanza aggravante o il riconoscimento di una ulteriore circostanza attenuante, non viola i principi posti dai commi 3 e 4 dell'art. 597 cod. proc. pen., essendo tale conferma soggetta alla sola verifica di adeguatezza motivazionale ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
5.1. La stretta correlazione ravvisabile, come si è detto, tra effetto devolutivo dell'appello e divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dal solo imputato e la previsione, peraltro, di sia pur limitate eccezioni alla regola dell'effetto parzialmente devolutivo posta dal comma 1 dell'art. 597 cod. proc. pen. impongono una attenta analisi della operatività del divieto di reformatio in peius alla stregua del tenore letterale delle varie disposizioni di cui al citato articolo e dei principi in punto di impugnazione, diritto di difesa ed ambito della valutazione discrezionale attribuita al giudice di appello.
5.2. Se è indiscutibile che il divieto di reformatio in peius è esteso alle singole componenti che concorrono a formare il trattamento sanzionatorio complessivo, ciò imponendolo la corretta interpretazione dei commi 3 e 4 dell'art. 597 cod. proc. pen., da leggersi in correlazione con la regola dell'effetto parzialmente devolutivo posta dal comma 1 del citato articolo, deve da subito porsi in evidenza come le ipotesi derogatorie a siffatta regola (previste nel comma 5) non possano, in assenza di specifica previsione, essere parimenti poste in correlazione con il divieto in questione, ad esse essendo estranee - proprio perché introduttive di poteri di ufficio del giudice di appello - quelle argomentazioni, ben esplicitate da Sez. U, Morales, cit., circa l'ambito della decisione di appello a fronte dei motivi proposti dall'imputato e del petitum sostanziale della sua impugnazione (si veda in particolare il passo in cui così si argomenta: «La previsione normativa secondo cui l'appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai "punti della decisione" ai quali si riferiscono i motivi proposti, non si limita a circoscrivere l'ambito oggettivo entro cui il giudice di secondo grado può operare, ma, con l'esplicito riferimento ai "motivi proposti", lascia chiaramente intendere che, entro quell'ambito oggettivo, la decisione non può che essere nel senso dello accoglimento o della reiezione, in tutto o in parte, dei suddetti motivi i quali, a loro volta, come è dato rilevare dal testuale tenore dell'art. 581 cod. proc. pen., sono strettamente collegati alle "richieste", cioè al petitum sostanziale dell'impugnazione, rappresentando, rispetto ad esso, per mutuare le categorie civilistiche, l'equivalente della causa petendi».).
5.3. Inoltre deve sottolinearsi:
- da un lato, che l'obbligo di corrispondente diminuzione della pena di cui al comma 4 dell'art. 597 cod. proc. pen. è limitato all'accoglimento dell'appello dell'imputato relativo a circostanze o reati concorrenti, ossia solo - come è lecito desumere dalla stretta correlazione tra la locuzione finale («la pena complessiva irrogata è corrispondentemente diminuita») ed il precedente riferimento ai motivi accolti («se è accolto l'appello dell'imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati per la continuazione») - ad ipotesi interessate da un metodo di calcolo comportante mere operazioni di aggiunta od eliminazione di entità autonome di pena rispetto alla pena-base, senza accenno alcuno ad ipotesi implicanti un giudizio di comparazione;
- dall'altro lato, che nessun richiamo o riferimento al divieto di reformatio in peius è rinvenibile nella disposizione di cui al comma 5 dell'articolo citato che -si sottolinea ancora una volta - disciplina ipotesi derogatorie alla regola dell'effetto parzialmente devolutivo posta dal comma 1 dello stesso articolo, tra l'altro attribuendo, per quello che qui interessa, al giudice di appello, "quando occorre", il potere di effettuare il giudizio di comparazione a norma dell'art 69 del codice penale.
Il tenore letterale delle disposizioni dei commi 4 e 5 dell'art. 597 (entrambe di stretta interpretazione) milita, pertanto, a favore dell'orientamento qui privilegiato, non potendosi estendere il regime previsto dal comma 4 dell'art. 597 cod. proc. pen. ad ipotesi diverse da quelle in tale comma contemplate e non potendosi procedere, attesa la sua peculiarità, ad una "lettura integrata" del comma 5 del medesimo articolo sulla base del disposto di cui al comma che lo precede.
5.4. Infine deve rilevarsi come a favore di tale orientamento militino, parimenti, ragioni di ordine sistematico alle quali vanno ricondotte:
- la riconosciuta possibilità per il giudice di appello di estrinsecare liberamente, seppure nell'ambito del devolutum, i suoi poteri di cognizione con ampia libertà di motivazione (basti pensare al sindacato circa la corretta qualificazione giuridica dei fatti, nei limiti, ovviamente, dei punti che sono stati devoluti);
- la innegabile autonomia e discrezionalità del giudizio di comparazione che non sempre conduce ad attribuire un peso quantitativamente apprezzabile ad ogni elemento considerato (sicché una "alterazione" dei termini in comparazione non comporta necessariamente una "alterazione" altresì del giudizio precedentemente espresso); si pensi al caso del concorso di quattro o più aggravanti ritenute equivalenti ad una attenuante ed alla eventualità che il giudice di appello escluda una sola delle aggravanti ritenute sussistenti dal giudice di primo grado; una logica rigidamente ed esclusivamente matematica, comportante l'automatica riduzione della pena inflitta in primo grado, porterebbe a snaturare il giudizio di appello ed il potere di valutazione della gravità del fatto attribuito al relativo giudice;
- la incongruenza, quindi, di una "presunzione assoluta" della necessità di modifica del precedente giudizio, di fatto implicante non già una mera riduzione della pena ma una obbligatoria formulazione di un giudizio più favorevole, con conseguente irragionevole parificazione di casi eterogenei ed inaccettabile invasione del campo di valutazione discrezionale del giudice di appello. Ed infatti, ove non si riconoscesse al giudice di appello - allorquando dall'accoglimento dell'impugnazione consegua la necessità di un nuovo giudizio di comparazione - uno spazio deliberativo autonomo, si verrebbe ad attribuire la stessa "efficacia demolitrice" del giudizio di comparazione operato in primo grado a tutti i casi di sottrazione di una o più circostanze aggravanti od aggiunta di una o più circostanze attenuanti, siano esse afferenti a dati marginali per qualità e quantità ovvero siano esse di estremo rilievo qualitativo o quantitativo.
6. In conclusione, in relazione alla questione rimessa al giudizio di queste Sezioni Unite, deve affermarsi il seguente principio di diritto: «il giudice di appello, pur dopo avere escluso una circostanza aggravante o riconosciuto una ulteriore circostanza attenuante in accoglimento dei motivi proposti dall'imputato, può, senza incorrere nella violazione del divieto di reformatio in peius, confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze purché esso sia accompagnato da adeguata motivazione».
7. Alla stregua delle argomentazioni sopra svolte e della soluzione adottata in relazione al rilevato contrasto giurisprudenziale si impone dunque il rigetto del primo motivo di gravame proposto nell'interesse di Fabio Papóla.
7.1 Parimenti non merita accoglimento la censura, oggetto del secondo motivo di ricorso, in ordine alla riconosciuta recidiva. La scelta applicativa non appare infatti sindacabile in questa sede di legittimità in quanto congruamente motivata dal pur sintetico riferimento ai precedenti penali dell'imputato ed alla non modesta entità del fatto-reato, implicitamente -ma chiaramente- ritenuti sintomo di una maggiore capacità a delinquere dell'imputato e, quindi, di una maggiore riprovevolezza della sua condotta e della sua personalità.
7.2. In base a quanto considerato in ordine alla necessità di una adeguata motivazione a sostegno della conferma del giudizio di equivalenza fra le circostanze, pur quando siano accolti i motivi di impugnazione dell'imputato volti ad ottenere l'esclusione di una circostanza aggravante od il riconoscimento di una ulteriore circostanza attenuante, deve - di contro - pervenirsi all'accoglimento del motivo di gravame (rubricato sub 2 e sub 3 dell'atto di impugnazione) con il quale si sono dedotti difetto di motivazione ed inosservanza dell'art. 192, comma 2, cod. proc. pen. in relazione al confermato giudizio di equivalenza.
Ed infatti, nell'argomentare la propria decisione di mantenere fermo il giudizio di equivalenza, la Corte di merito, nel contrapporre alle già riconosciute circostanze attenuanti generiche la residua circostanza aggravante della recidiva (della quale ha riconosciuto essere, nella specie, facoltativa l'applicazione), da un lato ha attribuito valenza al fatto di essere stato il Papola già condannato, circostanza all'evidenza insita nel concetto di recidiva e quindi inidonea, di per sé sola e senza ulteriori specificazioni, a motivare l'attribuita valenza rispetto alle circostanze attenuanti generiche; dall'altro lato ha omesso di palesare qualsivoglia considerazione a sostegno della implicita irrilevanza attribuita al venir meno di una circostanza aggravante di considerevole peso quale quella prevista dall'art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309/90, essendo all'uopo apodittico il riferimento alla ipotizzata "sussistenza di solidi legami con ambienti criminali di sicuro spessore", desunta dal mero dato ponderale di valenza assai ridimensionata dalla stessa Corte.
Dovendosi dunque concludere per la assoluta inadeguatezza della motivazione posta a base della conferma dei giudizio di equivalenza, si impone l'annullamento in parte qua della sentenza impugnata.

                                                                                                        P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Perugia limitatamente al giudizio di comparazione tra le circostanze.
Così deciso il 18 aprile 2013.