Le Sezioni Unite penali, nel risolvere un ulteriore contrasto in materia di delimitazione dei poteri di controllo del giudice per le indagini preliminari sull’operato del pubblico ministero, hanno affermato che, sia l’ordine di imputazione coatta ex art. 409, comma 5, cod.proc. pen. nei confronti di persona non indagata, sia quello emesso nei confronti dell’indagato ma in relazione ad un reato diverso da quello oggetto della richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero, costituiscono atti abnormi in quanto esorbitano dai poteri del giudice per le indagini preliminari 


 RITENUTO IN FATTO
1. Con provvedimento in data 10 ottobre 2012 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lucca, all'esito dell'udienza camerale conseguente delle persone offese, e in **** nella qualità di genitori esercenti la potestà sui figli minori, ha rigettato parzialmente la richiesta di archiviazione del Pubblico ministero, restituendogli gli atti con l'ordine di formulare l'imputazione per i reati di ingiuria, minaccia aggravata e lesioni personali nei confronti di previa iscrizione del nome di quest'ultima nel registro degli indagati.
Il Pubblico ministero, a seguito di denuncia-querela delle predette persone offese, aveva iscritto nel registro di cui all'art. 335 cod. proc. pen. il solo relazione ai reati di cui agli artt. 612-bis e 582 cod. pen.
Aveva successivamente chiesto l'archiviazione, non ravvisando i presupposti del reato di atti persecutori, né ritenendo possibile riqualificare i fatti esposti in querela ai sensi dell'art. 660 cod. pen.
La decisione di non formulare richieste per le altre condotte denunciate veniva giustificata con la contestuale pendenza di altri procedimenti penali aventi ad oggetto i medesimi fatti.
Tale prospettazione veniva accolta dal G.i.p. limitatamente al reato di atti persecutori, mentre era ritenuta ingiustificata la rinunzia del pubblico ministero a procedere per i reati di lesioni, ingiurie e minaccia aggravata, che sarebbero stati commessi da da in data 16 agosto 2011 con le modalità e nelle circostanze di tempo e di luogo descritte in querela; fatti che non risultavano essere stati presi in considerazione in altri procedimenti penali. Conseguentemente il G.i.p., non solo ordinava l'iscrizione nel registro degli indagati del nominativo di e dei reati omessi, ma altresì la formulazione coatta dell'imputazione per detti reati nei confronti di entrambi.
2. Avverso l'ordinanza aveva proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lucca, che denunciava l'abnormità del provvedimento per essere stato imposto l'esercizio dell'azione penale per reati e nei confronti di un soggetto per i quali non vi era stata pregressa iscrizione nel registro delle notizie di reato ex art. 335 cod. proc. pen.
Il ricorso veniva assegnato alla Quinta Sezione penale.
3. Con memoria depositata il 4 giugno 2013, il difensore di **** deduceva, in rito, la tardività dell'impugnazione del P.m. ai sensi dell'art. 585 cod. proc. pen.. e l'incompetenza dell'U.N.E.P. del Tribunale di Lucca per la notifica, nonché, nel merito, l'infondatezza della notitia criminis.
4. La Quinta Sezione penale della Corte di cassazione, con ordinanza del 6 giugno 2013, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite ai sensi dell'art. 618 cod. proc. pen.
Nell'ordinanza si rileva che, a seguito dell'intervento delle Sezioni Unite (sent. n. 22909 del 31/05/2005, Minervini, Rv 231163, che a sua volta richiama le linee-guida della consolidata giurisprudenza costituzionale), non è in dubbio il potere del g.i.p. di ordinare, all'esito dell'udienza camerale, l'iscrizione nel registro degli indagati del nominativo di soggetti non precedentemente iscritti dal pubblico ministero, nonché l'iscrizione della notitia criminis in relazione a titoli di reato ulteriori e diversi da quelli originariamente individuati dalla pubblica accusa.
Permangono, però, secondo l'ordinanza, perplessità in ordine al potere del g.i.p. di ordinare, in siffatte ipotesi, l'imputazione coatta.
Si rileva che la giurisprudenza di legittimità sembra sostanzialmente omogenea nel configurare quale atto abnorme il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari disponga l'imputazione coattiva nei confronti di persone non precedentemente iscritte nel registro degli indagati (Sez. 5, n. 27 del 25/10/2005, dep. 2006, Roncato, Rv. 233058; Sez. 4, n. 23100 del 18/04/2008, Villa, Rv. 240504; Sez. 3, n. 15732 del 12/02/2009, Loschiavo, Rv. 243253; Sez. 5 n. 6225 del 18/11/2010, dep. 2011, ignoti, Rv. 249294; Sez. 1, n. 39283 del 13/10/2010, Ciarmiello, F.v. 248839; Sez. 6, n. 3891 del 12/01/2012, Milana, Rv. 251578).
E' stato ravvisato, invece, dalla Sezione rimettente un contrasto interpretativo, non composto, in ordine al carattere abnorme del provvedimento con il quale il g.i.p., investito della richiesta di archiviazione nei confronti di soggetto iscritto nel registro degli indagati, ravvisi nella fattispecie altri titoli di reato, invitando il p.m. a formulare la relativa imputazione.
Si osserva che secondo un indirizzo, apparentemente maggioritario, il provvedimento del g.i.p. non si configura, in tal caso, come atto abnorme (Sez. 6, n. 42508 del 28/09/2012, Peverelli, Rv. 253617; Sez. 6, n. 9005 del 20/01/2010, Iannantuono, Rv. 246407; Sez. 6, n. 14565 del 31/01/2011, S., Rv. 250029; Sez. 6, n. 34284 del 22/06/2011, Polese, Rv. 250836; Sez. 5, n. 43262 del 07/10/2008, Frizzo, Rv. 241724; Sez. 1, n. 41207 del 24/11/2006, Laccetti, Rv. 236003).
Secondo un diverso orientamento, invece, in tale ipotesi il provvedimento del g.i.p. deve qualificarsi come atto abnorme (Sez. 3, n. 28481 del 27/05/2009, Battisti, Rv. 244565; Sez. 6, n. 41409 del 13/10/2009, Anzellotti, Rv. 245476; Sez. 4, n. 20198 del 21/02/2007, Marinelli, Rv. 236667; Sez. 6, n. 5058 del 15/12/2009, dep. 2010, Saccenti, Rv. 246136).
5. Il Primo Presidente, con decreto del 1° luglio 2013, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l'odierna udienza in camera di consiglio.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. La questione sottoposta all'esame delle Sezioni Unite è la seguente: «Se sia abnorme il provvedimento con cui il g.i.p., investito della richiesta di archiviazione per un determinato reato, ravvisando anche altri fatti costituenti reato, a carico del medesimo indagato o di altri soggetti non indagati, ordini al pubblico ministero di formulare l'imputazione ex art. 409 cod. proc. pen. in riferimento a questi ultimi».
3. Preliminarmente deve essere rilevata l'infondatezza dell'eccezione di tardività del ricorso del P.m. dedotta dalla difesa di ****.
E' stato, infatti, accertato, tramite comunicazione dalla Cancelleria del G.i.p. del Tribunale di Lucca, che il provvedimento impugnato è stato trasmesso all'Ufficio del P.m. in data 18 ottobre 2012, con la conseguente tempestività dell'impugnazione presentata presso il giudice a quo il 31 ottobre 2012, ai sensi dell'art. 585, comma 1, lett. a), e comma 2, lett. a), cod. proc. pen.
L'ulteriore eccezione processuale è inammissibile, non contenendo neppure l'indicazione dell'atto cui la stessa intende riferirsi o le conseguenze di una irrituale notifica, così come inammissibili sono le deduzioni di natura fattuale relative alla infondatezza della notitia criminls.
4. Con l'ordinanza di rimessione alle Sezioni unite la Quinta sezione penale ha rilevato il permanere di un contrasto interpretativo nella giurisprudenza di legittimità in ordine al carattere abnorme del provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari ordini l'imputazione coatta nei confronti dell'indagato per reati diversi da quelli oggetto della richiesta di archiviazione.
Secondo un indirizzo, definito "apparentemente" maggioritario, l'ordinanza del G.i.p. non costituirebbe atto abnorme (Sez. 6, n. 42508 del 28/09/2012, Peverelli, Rv. 253617; Sez. 6, n. 9005 del 20/01/2010, Iannantuono, Rv. 246407; Sez. 6, n. 14565 del 31/01/2011, S., Rv. 250029; Sez. 6, n. 34284 del 22/06/2011, Po lese, Rv. 250836; Sez. 5, n. 43262 del 07/10/2008, Frizzo, Rv. 241724; Sez. 1, n. 41207 del 24/11/2006, Laccetti, Rv. 236003).
Secondo un diverso orientamento in tale ipotesi il provvedimento del g.i.p. deve invece qualificarsi come atto abnorme (Sez. 2, n. 19447 del 03/04/2006, Filippone, Rv. 234200; Sez. 3, n. 28481 del 27/05/2009, Battisti, Rv. 244565; Sez. 6, n. 41409 del 13/10/2009, Anzellotti, Rv. 245476; Sez. 5, n. 12987 del 16/02/2012, Di Felice, Rv. 252312).
Nell'ambito di tale secondo orientamento, secondo l'ordinanza di rimessione, devono essere comprese anche le pronunce (Sez. 4, n. 20198 del 21/02/2007, Marinelli, Rv. 236667 e Sez. 6, n. 5059 del 15/12/2009, dep. 2010, Saccenti, Rv. 246136) relative all'ipotesi in cui il pubblico ministero aveva espressamente riservato, in ordine al reato ritenuto dal giudice, le proprie determinazioni quanto all'esercizio o meno dell'azione penale, nell'ambito di una richiesta di archiviazione parziale riguardante altro reato ipotizzato a carico del medesimo indagato.
5. La soluzione del quesito rimesso alle Sezioni Unite ha sostanzialmente ad oggetto la delimitazione dei poteri di controllo attribuiti al giudice per le indagini preliminari sull'operato del pubblico ministero per assicurare il rispetto del principio costituzionale della obbligatorietà dell'azione penale ex art. 112 Cost.
Al fine di assicurare tale controllo il codice di procedura penale, sul solco del previgente codice di rito del 1930, ha escluso un generalizzato intervento diretto dell'organo sovraordinato della pubblica accusa, salvi i casi, legati a palesi inadempienze del pubblico ministero, di avocazione disciplinati dall'art. 412 cod. proc. pen., ed ha affidato al g.i.p. il potere di delibazione sulle scelte abdicative della pubblica accusa in merito all'esercizio dell'azione penale attraverso il procedimento di archiviazione disciplinato dagli art. 408 e ss. cod. proc. pen.
E' noto, poi, che il legislatore del 1988, ai fine di assicurare la terzietà del giudice, stabilita dall'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, recepita dall'Italia con la legge 4 agosto 1955. n. 848, ed attualmente dall'art. Ili, secondo comma, della Costituzione, ha nettamente distinto le funzioni inquirenti, attribuite in via esclusiva al pubblico ministero, da quelle giudicanti.
Alla luce degli indicati parametri di ordine costituzionale, pertanto, devono essere individuati e delimitati i poteri di Intervento attribuiti al g.i.p. allorché venga azionato dal pubblico ministro il procedimento di archiviazione.
6. L'art. 409 cod. proc. pen. stabilisce che il g.i.p., se non accoglie la richiesta di archiviazione del pubblico ministero, presentata ai sensi dell'art. 408 stesso codice entro i termini di durata delle indagini, o non reputi inammissibile l'opposizione presentata dalla persona offesa dal reato a norma dell'art. 410, fissa la data dell'udienza in camera di consiglio. All'esito della stessa il giudice, se non ritiene di accogliere la richiesta di archiviazione, alternativamente può indicare al pubblico ministero le nuove indagini che ritenga necessarie, fissando un termine per il loro espletamento, o ordinare al pubblico ministero di formulare l'imputazione entro il termine di dieci giorni.
Tale ipotesi ovviamente ricorre allorché il g.i.p. reputi che sussistano, allo stato degli atti, gli estremi per esercitare l'azione penale.
7. La legittimità del descritto potere di intervento del g.i.p. sull'esercizio dell'azione penale è stata reiteratamente sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale, che, dichiarando infondate le questioni sottoposte al suo esame, ha sempre affermato che i confini tracciati dal legislatore sui poteri dei due organi che si occupano delle indagini preliminari sono ben definiti e conformi ai principi costituzionali dell'obbligatorietà dell'azione penale e della attribuzione della titolarità del suo esercizio in capo all'organo inquirente/requirente.
In particolare, il Giudice delle leggi, con sentenza n. 88 del 1991, ha affermato che il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale esige che nulla sia sottratto al controllo di legalità del giudice, sicché appaiono giustificati sia il potere del giudice di ordinare nuove indagini sia l'ordine di formulare l'imputazione rivolto al pubblico ministero.
Il controllo di legalità esercitato dal giudice, inoltre, in attuazione del principio di obbligatorietà dell'azione penale, investe l'intera vicenda processuale e riguarda l'integralità dei risultati delle indagini, senza la possibilità di imporre limiti devolutivi in relazione alla domanda del p.m. (Corte cost., sent. n. 478 del 1993).
In tale ambito, tuttavia, l'azione del giudice non contrasta con i principi del sistema accusatorio, essendo demandato a esso solo l'atto di impulso, che non esorbita dalla funzione di controllo, mentre il concreto promovimento dell'azione penale, che si esplica nella formulazione dell'imputazione, resta di esclusiva competenza del p.m.
Con ordinanza n. 176 del 1999 la Corte cost. ha affermato che, a prescindere dal tipo di archiviazione richiesta dal pubblico ministero, qualora non figurino nel procedimento persone formalmente indagate e nell'ipotesi in cui non ritenga di poter accogliere la richiesta di archiviazione, il giudice ha sempre il potere di ordinare la iscrizione nel registro degli indagati delle persone cui il reato sia attribuibile.
Con riferimento alla ipotizzata lesione dei diritti di difesa dell'indagato, allorché il giudice ordini l'imputazione coatta, per non essere preceduta dall'avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen., la Corte cost., dichiarando la manifesta infondatezza della relativa questione con ordinanze n. 348 del 2005 e n. 286 del 2012, ha osservato che, anche in questo caso, è assicurata una piena ostensione della documentazione relativa alle indagini espletate (ai sensi dell'art. 408, comma 1, cod. proc. pen. il p.m. deve infatti trasmettere il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari) e che il diritto di intervento dell'imputato è assicurato dalla disciplina generale del procedimento in camera di consiglio.
Conclusivamente il Giudice delle leggi ha sempre ribadito che i confini tracciati dal legislatore tra i poteri dei due organi che si occupano delle indagini preliminari sono ben definiti e conformi ai principi costituzionali della obbligatorietà dell'azione penale e della sua titolarità in capo all'organo requirente, essendo riservata al giudice per le indagini preliminari essenzialmente una funzione di controllo e di impulso, e che tutte le questioni portate alla attenzione di quella Corte erano frutto di un'interpretazione errata delle rispettive funzioni del giudice e del pubblico ministero.
8. Sulla delimitazione dei poteri di controllo e di intervento attribuiti al g.i.p. nel procedimento di archiviazione si sono già pronunciate le Sezioni Unite con la sentenza n. 22909 del 31/05/2005, Minervini, Rv. 231163, sia pure sulla limitata questione del potere del giudice di ordinare la iscrizione nel registro delle notizie di reato di altri soggetti non indagati, per i quali il p.m. non aveva formulato alcuna richiesta, disponendo altresì la prosecuzione delle indagini, e di rinviare ad altra udienza per l'ulteriore corso.
Nell'affermare il carattere abnorme dell'ordinanza impugnata limitatamente al provvedimento di rinvio ad altra udienza, dichiarando, invece, legittimo l'ordine di iscrizione nel registro delle notizie di reato di soggetti non indagati e di prosecuzione delle indagini, la sentenza ha fornito una precisa linea di indirizzo sulla tematica dei poteri attribuiti al g.i.p. in materia di archiviazione.
Le Sezioni Unite hanno affermato, peraltro sulla scia della copiosa giurisprudenza costituzionale citata, che rientra tra i poteri del g.i.p. quello di effettuare un controllo completo sulle indagini svolte dal pubblico ministero, non limitato, sotto il profilo oggettivo, alle imputazioni iscritte nel registro delle notizie di reato e, sotto il profilo soggettivo, alle persone indagate ed iscritte nel relativo registro, con la conseguenza che, se le sue valutazioni non concordino con le richieste conclusive del p.m., egli potrà invitare quest'ultimo a compiere nuove indagini e, qualora queste debbano essere estese a persone non indagate, ne potrà ordinare l'iscrizione nel registro delle notizie di reato.
Conclusivamente è stato affermato dalla sentenza che «[la] questione dei rapporti tra g.i.p. e p.m. in sede di archiviazione, quindi, non sembra tanto essere quella dell'oggetto (intera notizia di reato o soltanto imputazione elevata dal p.m.), quanto piuttosto quella del rapporto: esercizio azione penale-controllo giudiziale. Appare di tutta evidenza che il g.i.p. non può limitarsi ad un semplice esame della richiesta finale del p.m., ma deve esercitare il suo controllo sul complesso degli atti procedimentali rimessigli dallo stesso p.m.; è, d'altro canto, del tutto evidente che non può prendere egli l'iniziativa di esercitare l'azione penale in nome e per conto del p.m.».
Di particolare rilievo risultano, ai fini della decisione del quesito sottoposto alle Sezioni Unite, le affermazioni della sentenza, secondo le quali il potere attribuito al g.i.p. dall'art. 409, comma 5, cod. proc. pen. di ordinare la formulazione dell'imputazione presuppone che la persona nei confronti della quale deve essere elevato l'addebito sia stata iscritta nel registro delle notizie di reato e che deve essere qualificato come abnorme il provvedimento con il quale il g.i.p. abbia disposto il rinvio ad un'ulteriore udienza camerale, in quanto lesivo delle prerogative del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale.
I provvedimenti adottati dal g.i.p., in dissenso con la richiesta di archiviazione formulata dalla pubblica accusa, fanno «tornare il procedimento nella iniziativa del p.m. il quale, nel seguire le indicazioni del g.i.p., potrà esercitare, nella sua autonoma determinazione, tutti i poteri attribuitigli dalla legge, primo fra tutti quello di adottare le determinazioni conseguenti all'esito delle indagini espletate».
Si può, pertanto, affermare, sulla scia dell'indirizzo interpretativo già espresso dalle Sezioni Unite, che le disposizioni dell'art. 409, commi 4 e 5, cod. proc. pen., concernenti i poteri di intervento del giudice delle indagini preliminari sull'esercizio dell'azione penale, devono formare oggetto di interpretazione estremamente rigorosa, al fine di evitare qualsiasi ingerenza dell'organo giudicante nella sfera di autonomia della pubblica accusa.
9. E', inoltre, opportuno ribadire, non avendo la questione, anche se incidentalmente esaminata dalla sentenza, formato oggetto di uno specifico quesito sottoposto all'esame della precedente pronuncia delle Sezioni Unite, che è abnorme il provvedimento del giudice per le indagini preliminari, nella parte in cui, oltre a ordinare al pubblico ministero l'iscrizione nel registro delle notizie di reato di una persona non sottoposta ad indagini, disponga nei confronti di quest'ultima la formulazione dell'imputazione coatta.
E' evidente, infatti, che siffatto provvedimento costituisce un indebita ingerenza del giudice nei poteri dell'organo inquirente, non solo di indagare, a tutto campo, nei confronti della persona non contemplata nella richiesta di archiviazione, ma soprattutto di adottare autonome determinazioni all'esito delle indagini espletate.
L'ordine di imputazione coatta nei confronti di un soggetto non sottoposto ad indagini determina inoltre una lesione dei diritti di difesa dello stesso, non essendo la persona rimasta estranea alle indagini destinataria dell'avviso ex art.
409, comma 1, cod. proc. pen. e non avendo partecipato all'udienza camerale, con la conseguente discovery delle risultanze delle indagini.
Si è già, peraltro, osservato che, come rilevato nell'ordinanza di rimessione mediante la citazione delle sentenze da essa richiamate, la giurisprudenza di questa Corte è sostanzialmente consolidata nell'affermazione di tale principio (Sez. 5, n. 27 del 25/10/2005, dep. 2006, Roncato, Rv. 233058; Sez. 4, n. 23100 del 18/04/2008, Villa, Rv. 240504; Sez. 3, n. 15732 del 12/02/2009, Loschiavo, Rv. 243253; Sez. 5, n. 6225 del 18/11/2010, dep. 2011, ignoti, Rv. 349294; Sez. 1, n. 39283 del 13/10/2010, Ciarmiello, Rv. 248839; Sez. 6, n. 3891 del 12/01/2012, Milana, Rv. 251578).
Non costituisce, invece, atto abnorme l'ordine di iscrizione della persona non sottoposta ad indagini nel registro delle notizie di reato in relazione a fatti che emergano a suo carico da quelle già espletate.
Tale ordine, come già osservato nella sentenza delle Sezioni Unite Minervini, solo apparentemente non è contemplato dall'art. 409, comma 4, cod. proc. pen., in quanto esso è compreso nel potere del giudice di ordinare nuove indagini: attività che presuppone necessariamente l'iscrizione, dovendosi osservare in materia le regole di legalità formale imposte dall'art. 335 cod. proc. pen., al cui rispetto è in ogni caso obbligato l'organo inquirente.
10. A conclusioni non diverse si deve pervenire con riferimento all'ipotesi in cui il giudice per le indagini preliminari ravvisi a carico della persona indagata fatti costituenti reato diversi da quelli per i quali è stata formulata la richiesta di archiviazione.
Anche in tale ipotesi, infatti, l'ordine di imputazione coatta obbliga il pubblico ministero a contestare i fatti, così come emersi dalle indagini già espletate, precludendogli la possibilità di adottare autonome determinazioni all'esito delle ulteriori indagini che la pubblica accusa ritenga di espletare sulle diverse ipotesi di reato rilevate dal giudice a seguito della iscrizione delle stesse nel registro di cui all'art. 335 cod. proc. pen.
Si deve pertanto affermare che è inibito al giudice per le indagini preliminari ordinare al pubblico ministero la formulazione della imputazione nei confronti della persona indagata per ipotesi di reato diverse da quelle per le quali è stata richiesta l'archiviazione, dovendo in tal caso il giudice limitarsi a ordinare l'iscrizione nel registro di cui all'art. 335 cod. proc. pen. degli ulteriori reati che abbia ravvisato nelle risultanze delle indagini portate a sua conoscenza.
11. Per completezza di esame in ordine alla impugnabilità del provvedimento del giudice per le indagini preliminari, non prevista dal codice di rito, va osservato che lo stesso costituisce, nel caso in esame, senza ombra di dubbio atto abnorme, come esaustivamente argomentato nella citata pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, sia pure con riferimento al diverso profilo esaminato da quella pronuncia.
Come è noto il legislatore del 1988 non ha inteso individuare una categoria degli atti abnormi, suscettibili di autonoma impugnazione, per la difficoltà della loro tipizzazione, demandando alla giurisprudenza di rilevarne l'esistenza e di fissarne le caratteristiche ai fini dell'impugnabilità {Relazione preliminare al codice di procedura penale).
Orbene, la giurisprudenza di questa Corte (Sez. U, n. 17 del 10/12/1997, Di Battista, Rv. 209603; Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, Magnani, Rv. 215094 e successive riguardanti singole applicazioni del principio di diritto) ha adeguatamente definito la nozione di atto abnorme, connotandola in negativo, nel senso che non può definirsi tale l'atto che costituisce mera violazione di norme processuali, ed in positivo, affermando che è affetto da abnormità non solo il provvedimento che, per la singolarità e la stranezza del contenuto risulti avulso dall'intero ordinamento processuale (cosiddetta anomalia strutturale), ma anche quello che, pur essendo manifestazione di un legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di la di ogni ragionevole limite, sì da determinare una stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo ovvero una inammissibile regressione dello stesso ad una fase ormai esaurita.
Nel caso in esame, afferendo la anomalia del provvedimento alla delimitazione dei poteri del giudice per le indagini preliminari rispetto alla sfera di autonomia dell'organo inquirente, con il rilevato coinvolgimento di principi di ordine costituzionale, costituisce atto abnorme il provvedimento di detto giudice che limiti i poteri di determinazione del pubblico ministero, imponendogli il compimento di atti al di fuori delle ipotesi espressamente previste dal codice di rito.
12. Va conclusivamente enunciato il seguente principio di diritto: «Esorbita dai poteri del giudice per le indagini preliminari e costituisce, pertanto, atto abnorme, sia l'ordine di imputazione coatta ex art. 409, comma 5, cod proc. pen. nei confronti di persona non indagata, sia il medesimo ordine riferito all'indagato per fatti diversi da quelli per i quali il pubblico ministero abbia chiesto l'archiviazione».
13. Passando all'esame del ricorso, risulta, pertanto, fondata la doglianza del pubblico ministero sia con riferimento all'imposizione dell'imputazione coatta nei confronti di persona non indagata, sia con riferimento al medesimo ordine relativamente alla posizione di **** per fatti, ritenuti dal giudice di rilevanza penale, che non avevano formato oggetto della richiesta di archiviazione.
Peraltro, con riferimento alla posizione di detto imputato, nella richiesta di archiviazione si faceva espresso riferimento all'esistenza di ulteriori iscrizioni nel registro delle notizie di reato ed alla formazione di diversi procedimento a seguito delle reciproche querele proposte dalle persone offese e dallo stesso indagato.
L'ordinanza impugnata deve essere, pertanto, annullata senza rinvio limitatamente agli ordini di imputazione coatta.

                                                                                 P.Q.M.
Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata limitatamente agli ordini di formulazione delle imputazioni.
Dispone la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lucca.
Così deciso il 28/11/2013