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Massimario



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REATO IN GENERE

Elemento soggettivo - «Dolo eventuale» e «dolo diretto» - Differenze. (C.p., articoli 42 e 43)
Si è in presenza di «dolo eventuale» quando l’agente, ponendo in essere una condotta diretta ad altri scopi si rappresenta la “concreta possibilità” del verificarsi di ulteriori conseguenze della propria condotta e, ciò nonostante, agisce accertando il rischio di cagionarle; quando, invece, l’ulteriore accadimento si presenta all’agente come “ probabile”, non si può ritenere che egli, agendo , si sia limitato ad accettare il rischio dell’evento, giacché egli, accertando l’evento, lo ha voluto, onde in tale ipotesi l’elemento psicologico si configura nella forma del «dolo diretto» e non in quella del dolo eventuale.
Sezioni Unite, sentenza 27 novembre 2008- 23 gennaio 2009 n. 3286 – Pres. Carbone; Rel. Fiale; Pm (conf.) Palombarini; Ric. Chiodi.

CIRCOLAZIONE STRADALE E CODICE DELLA STRADA

Guida sotto l’influenza dell’alcool – Diversi valori alcolimetrici – Ipotesi autonome di reato. (D.L.vo 30 aprile 1992 n. 285, articolo 186)
Le ipotesi incriminatici previste rispettivamente della lettera a), b), e c), del comma 2 dell’articolo 186 del codice della strada, integrano fattispecie autonome di reato: si tratta di disposizioni in ordine crescente di gravità, modellata sul tasso alcolemico accertato, che sono caratterizzate, tra loro, da un rapporto di reciproca alternatività e, quindi, di incompatibilità.
Sezione IV, sentenza 5 dicembre 2008 – 12 febbraio 2009 n. 6210 – Pres. Campanato; Rel. Romis; Pm (diff.) de Sandro; Ric. Girolimetti.

LAVORO

Infortuni sul lavoro – Normativa antinfortunistica – Destinatari – Impresa di grandi dimensioni – Individuazione. (D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, articolo 4; D.L.vo 9 aprile 2008 n. 81 articolo 18)
In tema di normativa antinfortunistica, nelle imprese di grandi dimensioni, si pone la questione, attinente all’individuazione del soggetto che assume su di sé, in via immediata e diretta, la posizione di garanzia, la cui soluzione precede, logicamente e giuridicamente, quella della (eventuale) delega di funzioni. In imprese di tal genere, infatti, non può individuarsi questo soggetto, automaticamente, in colui o in coloro che occupano la posizione di vertice, occorrendo un puntuale accertamento, in concreto, dell’effettiva situazione della gerarchia delle responsabilità all’interno dell’apparato strutturale, così da verificare l’eventuale predisposizione di un adeguato organigramma dirigenziale ed esecutivo il cui corretto funzionamento esonera l’organo di vertice da responsabilità di livello intermedio e finale. In altri termini, nelle imprese di grandi dimensioni non è possibile attribuire tout court all’organo di vertice la responsabilità per l’inosservanza della normativa di sicurezza, occorrendo sempre apprezzare l’apparato organizzativo che si è costituito, sì da poter risalire, all’interno di questo, al responsabile di settore. Diversamente opinando, del resto, si finirebbe con l’addebitare all’organo di vertice quasi una sorta di responsabilità oggettiva rispetto a situazioni ragionevolmente non controllabili, perché devolute alla cura e alla conseguente responsabilità di altri.
Sezione IV, sentenza 10 dicembre 2008 -28 gennaio 2009 n. 4123 – Pres. Mocali; Rel. Piccialli; Pm (diff.) Fraticelli; Ric. Vespasiani.

LIBERTA' PERSONALE

Riparazione per l’ingiusta detenzione – Diritto all’equa riparazione – Condizioni – Esclusione - «Colpa grave» del richiedente – Connivenza – Rilevanza – Condizioni – Fattispecie. (C.p.p, articoli 314 e 315)
La «colpa grave» di cui all’articolo 314, comma 1, del C.p.p. ostativa del diritto alla riparazione dell’ingiusta detenzione, può ravvisarsi anche in un comportamento “connivente”, rispetto alla commissione di un grave atto delittuoso, quando ricorrano le seguenti ipotesi: a) nel caso in cui l’atteggiamento di connivenza sia indice del venir meno di elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi danni alle persone o alle cose; b) nel caso in cui si concreti non già in un mero comportamento passivo dell’agente riguardo alla consumazione di un reato, ma nel tollerare che tale reato sia consumato, sempreché l’agente sia in grado di impedire la consumazione o la prosecuzione dell’attività criminosa in ragione della sua posizione di garanzia; c) nel caso, infine, in cui la connivenza passiva risulti avere oggettivamente rafforzato la volontà criminosa dell’agente, sebbene il connivente non intenda perseguire questo effetto; in tal caso è necessaria la prova positiva che il connivente fosse a conoscenza dell’attività criminosa dell’agente medesimo.(Da questa premessa, la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza che aveva motivato il diniego dell’indennizzo sull’atteggiamento di connivenza passiva assunto, in occasione della commissione del reato, dal richiedente e dimostrato dalla sua presenza non occasionale sul luogo del reato, tale da poter essere interpretata come indice di complicità; la Corte ha però evidenziato la carenza della motivazione, laddove non si evinceva affatto che l’istante fosse a conoscenza dell’attività illecita posta in essere dal soggetto con cui si accompagnava, né che tale circostanza fosse stata da lui ignorata per colpa).
Sezione IV, sentenza 3 dicembre 2008 – 21 gennaio 2009 n. 2659 – Pres. Brusco;Rel. Izzo; Pm (diff.) D’Ambrosio; Ric. Vottari.

PROCEDIMENTO PENALE

Dibattimento – Richieste di prove – Richieste di ammissione di documenti – Limiti temporali – Esclusione – Disciplina. (C.p.p, articolo 468, 493 e 495)
L’articolo 493 del C.p.p, riguardante l’esposizione introduttiva e le richieste di prova avanzate dalle parti, non prevede una preclusione temporale alla esibizione di documenti e all’ammissione degli stessi da parte del giudice in un momento successivo a quella fissato dalla norma suddetta, essendo tale preclusione esplicitamente limitata alle prove che devono essere indicate nelle liste di cui all’articolo 468 del C.p.p. Pertanto, in caso di documenti, cioè di atti “precostituiti”, le limitazioni temporali indicate dal citato articolo 493 del C.p.p non valgono, fermo restando che in caso di esibizione di documenti, successiva all’esposizione introduttiva, deve essere garantito alle altre parti il diritto di esaminarli, secondo quanto prescrive l’articolo 495, comma 3, del codice di procedura penale.
Sezione VI, sentenza 27 gennaio – 11 febbraio 2009 n. 5908 – Pres. Serpico; Rel. Fidelbo; Pm (conf.) Selvaggi; Ric. Abou Enasser.

REATI CONTRO LA FAMIGLIA

Maltrattamenti in famiglia – Anomalie comportamentali di tutti i componenti della famiglia – Comportamento violento del padre – Apprezzamento – Insussistenza del dolo. (C.P., articolo 572)
In un contesto familiare caratterizzato e condizionato da anomalie comportamentali di tutti i suoi componenti (nella specie, determinato dall’uso smodato e incontrollato dall’alcool e dalle gravi anomalie a livello psichiatrico di una delle componenti della famiglia) il comportamento violento da parte di uno di questi (nella specie, il padre), certamente verificatosi, deve essere letto come espressivo di una reazione determinata da tensioni contingenti, anche se non infrequenti nel descritto contesto familiare, difettando peraltro il dolo del reato di maltrattamento in famiglia caratterizzato dalla coscienza e volontà di sottoporre i soggetti passivi a una serie di sofferenze fisiche o morali in modo continuativo e abituale (da queste premesse, la Corte ha annullato la condanna per il reato di cui all’articolo 572 del C.p., con la formula «perché il fatto non costituisce reato»).
Sezione VI, sentenza 4 novembre 2008 – 13 febbraio 2009 n. 6490 – Pres. Agrò;; Rel. Milo; Pm (con.) Iacoviello.

STAMPA

Reato in genere – Delitti contro il sentimento religioso e contro la pietà dei defunti – Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone – Sequestro di messaggi su “forum” di sito web – Stampa – Esclusione. (Costituzione, articolo 21, terzo comma; C.p., articolo 403; legge 8 febbraio 1948 n.47)
Ai fini della configurabilità del reato di offesa a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone (articolo 403 del C.p.), non occorre che le espressioni di vilipendio debbano essere rivolte a fedeli ben determinati, essendo sufficiente che le stesse siano genericamente riferite alla indistinta generalità dei fedeli, tutelando la norma il sentimento religioso e non la persona (fisica o giuridica) offesa in quanto appartenente a una determinata confessione religiosa. Inoltre, i messaggi contenenti espressioni offensive della confessione religiosa e residenti sul “forum” ospitato dal sito web, non sono tutelati dalla legge n. 47 del 1948, non rientrando nella nozione di «stampa» e, conseguentemente, non trova applicazione ai messaggi su “forum” (come ad altre forme moderne di comunicazione del pensiero, quali newsletter, blog, newsgroup, mailing list, chat, messaggi istantanei ecc.) la tutela costituzionale in tema di sequestro di cui all’articolo 21, terzo comma, della Costituzione.
Sezione III, sentenza 11 dicembre 2008 – 10 marzo 2009 n. 10535 – Pres. Vitalone; Rel. Franco; Pm (conf.) Passacantando; Ric. Aduc.

EDILIZIA ED URBANISTICA

Reati edilizi – Esecuzione di lavori in assenza o in difformità del permesso di costruire – Responsabilità del proprietario del terreno – Condizioni. (C.p., articolo 110; D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, articolo 44)
La qualità di proprietario del terreno può giustificare la condanna per l’abuso edilizio solo se accompagnata ad altri indizi di colpevolezza concordanti, quali la presenza sul cantiere, la sottoscrizione di domande per la sanatoria, la sottoscrizione di domande per la sanatori, il rapporto coniugale o di convivenza con il committente dell’opera, l’occupazione o comunque il godimento dell’immobile abusivo, e simili. (Da queste premesse, la Corte ha annullato con rinvio, per difetto di motivazione, la sentenza di condanna che aveva affermato la responsabilità dell’imputato solo «in quanto proprietario del terreno su cui le opere erano state realizzate»).
Sezione III, sentenza 2 dicembre 2008 - 9 febbraio 2009 n. 5496 – Pres. Grassi; Rel. Onorato; Pm (diff.) Bua; Ric. Vergati.

LIBERTA' PERSONALE

Riparazione per l’ingiusta detenzione – Diritto all’equa riparazione – Proposizione della domanda – Termine – Decorrenza – Individuazione. (C.p.p, articoli 314 e 315)
Il momento iniziale dal quale decorre il termine (di due anni, previsto a pena di inammissibilità) per la proposizione della domanda di riparazione, e prima del quale, ovviamente, la domanda non può essere proposta, è individuato dal comma 1 dall’articolo 315 del C.p.p, che fa riferimento esclusivo al «giorno in cui la sentenza di proscioglimento o di condanna è divenuta irrevocabile». Pertanto, la domanda può essere proposta non quando si verifica il presupposto che costituisce titolo per la richiesta (che, ai sensi dell’articolo 314, comma 2, del C.p.p, ben può essere costituito dal provvedimento adottato in sede cautelare – riesame o cassazione – che accerti che la misura cautelare è stata emessa o mantenuta in mancanza dei presupposti previsti dagli articoli 273 e 280 del C.p.p), ma solo quando diviene irrevocabile la sentenza di merito alla quale soltanto possono riferirsi le parole “proscioglimento” e “condanna”, ovviamente prive di senso se riferite al provvedimento cautelare. Dal resto, solo quando si è cristallizzato il giudizio sulla responsabilità, possono essere prese in considerazione le eventuali cause che possono influire sulla determinazione del periodo per il quale è dovuta la riparazione (articolo 314, comma 4, del codice di procedura penale).
Sezione IV, sentenza 3 dicembre 2008 – 21 gennaio 2009 n. 2658 – Pres. e rel. Brusco; Pm (diff.) D’ambrosio; Ric. Giuliano

MISURE CAUTELARI

Misure cautelari personali – Esigenze cautelari – Pericolo di reiterazione – Giudizio sulla personalità dell’accusato – Pendenze penali – Valutazione – Legittimità.M (C.p.p, articolo 247, comma 1 lettera c)
In materia cautelare, ai fini dell’apprezzamento del pericolo di recidiva ex articolo 274, comma1, lettera c), del C.p.p, deve ritenersi legittimo il richiamo ad altro procedimento pendente, soprattutto se avente a oggetto fatti analoghi, perché il carico pendente ovvero la pendenza giudiziaria, seppure non vi sia stata applicazione di provvedimenti di cautela, non può considerarsi indifferente per la sua stessa sussistenza nella valutazione del pericolo di commissione di reati della stessa specie di quello per cui si procede.
Sezione VI, sentenza 16 ottobre 2008 – 4 febbraio 2009 n. 4945 – Pres. de Roberto; Rel. Mannino; Pm (conf.) Cedrangolo; Ric. Mansour

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